“La Legalità come scelta di normalità”

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*Le date del 23 maggio e del 19 luglio del 1992 ricorreranno nei prossimi decenni insieme a tutte quelle dei giorni in cui uomini e donne perbene hanno scelto di mettersi in gioco, a costo della loro stessa vita, in nome di una corretta scelta morale e nel doveroso rispetto del proprio impegno professionale e civile assunto e vissuto con sincero senso di responsabilità.Oggi, nel ricordo delle immagini tragiche di quei due giorni, ci si può fermare per riflettere sul come i ragazzi classe 1992 vedano i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino dal loro punto di vista, da sedicenni impegnati a dividersi tra una realtà a volte troppo ristretta e poco stimolante, e le molteplici e diversificate possibilità che la realtà virtuale del terzo millennio, nel bene e nel male, è invece capace di proporre con tutta la sua carica apparentemente seduttiva e pericolosamente coinvolgente.
di Astrid Peralta
* Tratto dal progetto educativo  “La legalità come scelta di normalità” prodotto dalla dott.ssa Astrid Peralta per le scuole secondarie di primo e secondo grado di Palermo.  presentato il 14.05.2008 all’attenzione del dott. Benedetto Marasà.

Eppure, come da sempre nel corso dei secoli, la scelta di ogni uomo e di ogni donna sta proprio lì, nella distinzione tra il bene ed il male, punto d’inizio della Genesi e base della paideia greca, in quell’intreccio tra bello e terribile che l’uomo, tra tutti gli esseri viventi, ha in dono di poter essere.

Di fronte alla dilagante corruzione, che alla fine ha corroso i principi della convivenza civile, di fronte alla perdita progressiva della libertà di quel poter essere asservita al più forte sistema dell’apparire, scegliere la via della legalità è senza ogni dubbio una scelta da “eroi” per il suo carico di “diversità” rispetto all’omologante prassi delinquenziale comune a tutti i livelli sociali, e per il suo spessore simbolico di fronte alla più conveniente trasgressione delle regole che, alla fine, è diventata, per i più, la prassi e, appunto, quella deformante “normalità” che veste le norme a proprio uso e consumo a scapito dell’intera comunità.

Eppure nel proporre “la legalità come scelta di normalità” si potrebbero far sentire più vicini gli uomini che erano e che saranno nella memoria Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, facendoli conoscere dal punto di vista personale, come erano anch’essi da bambini, da adolescenti e quindi da uomini,  prima ancora che nel loro ruolo istituzionale di giudici ligi al proprio ufficio.

Falcone e Borsellino appaiono così, prima ancora che eroi, uomini, e pure amici, che fecero della legalità una scelta di vita anche a costo della vita stessa, e dai quali traspariva la legittima, quanto umana, paura che nasceva dalla consapevolezza di sviscerare, per la prima volta negli anni ’80, il sistema mafioso-polico-economico avviluppato alla società, e di mostrarne il vero volto a quella stessa società che, intanto, rimaneva troppe volte cieca e distratta.

Come in un flashback della memoria, sarebbe interessante far rileggere ai sedicenni di oggi il percorso di vita dei due compagni di giochi, Giovanni e Paolo, cresciuti nella Palermo di quarant’anni fa alla Magione, nel quartiere storico della Kalsa, e che negli anni si sarebbero ritrovati fianco a fianco, da giovanissimi giudici istruttori, al centro di complesse inchieste giudiziarie nate dalle timide dichiarazione dei primi pentiti di mafia, visti da una certa collettività condiscendente come “folli”, e poi successivamente imperniate sugli omicidi e sugli affari di mafia, sino alla costituzione del primo pool antimafia, che li mise in grado di spiegare dall’interno il sistema della criminalità organizzata.

Paolo Borsellino scriveva: “Per anni ho pensato quanto fosse impalpabile, in quel quartiere, il confine che ci separava dalla mafia. Come tanti altri ragazzi che abitano alla Magione avrei potuto imboccare la strada di contrabbandiere, di uomo d´onore, anziché quella di magistrato”.
Quella di Borsellino, come di Falcone, da questo punto di vista, non è dunque la vita mitizzata e irraggiungibile di un eroe, ma, la scelta di due ragazzi che da bambini furono educati al rispetto dell’altro, al dialogo, alla comprensione del disagio, sia economico che culturale, e al non sopraffare l’altro profittando delle sua debolezza, ossia al rispetto delle norme e delle buone regole comportamentali.
Falcone e Borsellino scelgono la “normalità”, intesa come modo di vivere rispettoso delle regole familiari prima, e di quelle della società allargata poi, fino alla convivenza civile in nome dei principi democratici costituzionalmente sanciti.
Falcone, come Borsellino, pur essendo cresciuto in un quartiere palermitano complesso, trovò la giusta chiave di lettura che gli aprì la strada verso una vita vissuta nel rispetto della legge prima ancora che nel facile arricchimento, mentre molti altri coetanei, invece, sceglievano il contrabbando e la mano nera, assecondando la volontà del capo mafia di quartiere e le facili profferte di illeciti guadagni in cambio del “rispetto”.
Contro l’associazione mafiosa, la violenza e l’omertà, i due giovani amici sceglieranno, poi,  la facoltà di giurisprudenza, per conoscere le norme e le leggi, e per farne le uniche armi valide contro un’organizzazione che dal suo nascere ha sempre puntato alla distruzione di tutte le risorse buone della Sicilia per il suo proprio ed esclusivo arricchimento.
Le mafie, come attestano ogni giorno le indagini economiche e patrimoniali a carico dei malavitosi, hanno una pesante ricaduta economica su tutta la società, ed è facile che in uno stato di bisogno insoddisfatto i ragazzi, specie quelli disagiati, cadano nell’errore di vedere nel sistema mafioso una meta di arricchimento ed un futuro assicurato. Questo stato di fatto è appunto uno dei tanti obiettivi che il malaffare persegue, impedendo la crescita personale di ciascuno, mettendo in uno stato di necessità, e proponendo come la strada più facile quella dell’illecito arricchimento e dell’affiliazione al clan.

Oggi è urgente, dunque, veicolare, soprattutto nella scuola, alternative positive contro quelle mafiose, e condurre ogni ragazzo sul percorso della crescita personale a prescindere dal proprio status, stimolandoli all’apprendimento, alla conoscenza delle proprie capacità nel rispetto dei propri limiti, come vie reali e possibili dell’affermazione di sé non in competizione con l’altro, ma come crescita reciproca, e insieme, di tutta la collettività.
La necessità di individuare nuovi mezzi educativi nasce dall’esame del modo in cui i ragazzi oggi percepiscono il rapporto tra Stato e mafia.

Il 29 aprile dello scorso 2007, data in cui si ricordava l’omicidio del politico Pio La Torre,  un sondaggio tra alcuni licei palermitani registrò che: “Per i giovani siciliani la mafia è più forte dello Stato, e che tra i giovani di Palermo serpeggiavano pessimismo e diffidenza”.
I giovani intervistati rispondendo alle domande poste dai loro coetanei dichiararono “Abbiamo trovato che lo Stato democratico appare debole perché permette alla mafia di esistere” (Ansa 29.04.2007)
Lo Stato, secondo molti, viene facilmente sconfitto dalla mafia perché è colluso, se non identificato, con la stessa mafia’’. ’’Forse – riflettono ancora gli autori della ricerca – abbiamo bisogno di conoscere meglio la storia dell’antimafia e dei traguardi finora raggiunti’’
C’era anche un’altra domanda interessante: “Ma con chi parlano di mafia questi ragazzi?”.
Tra di loro risultò che solo il 28,8 discuteva di mafia, mentre riuscivano a parlarne di piu’ in famiglia (32,9) ma soprattutto con i docenti (34,1).
Scuola e famiglia vengono così individuate come le agenzie educative per eccellenza che dovrebbero aiutare i giovani a prendere coscienza che tra mafia e Stato non puo’ esserci partita.

Dunque bisogna comunicare ai ragazzi la presenza di uno Stato che, contro la mafia, è tanto più forte quanto ciascuno si spenderà nell’impegno di rompere la legge dell’omertà e dell’asservimento al più forte, usando lo studio, le conoscenze e l’impegno in attività sociali volte, invece, al dialogo, alla denuncia delle difficoltà e ad affrontare le problematiche con mezzi istituzionali messi a disposizione da tutte le agenzie educative.

Per rispondere al bisogno dei ragazzi di conoscere chi e che cosa ha lottato per la giustizia, e con quali mezzi e risultati, è perciò d’utilità diffondere documenti, articoli, testimonianze che aiutino a conoscere esempi di vita, come quelli dei due giudici Falcone e Borsellino, non solo in nome dell’impegno speso nel compimento della professione, non solo per la “loro” Palermo, ma soprattutto per il riscatto di tutti i siciliani, e per il diritto dei più giovani a sperare di poter restare e vivere in una  Sicilia con una società più giusta e più libera.

Tutto ciò, allora, potrebbe essere veicolato ancora più che come comportamento eroico, come una reale possibilità di crescita da cogliere ogni giorno in famiglia, a scuola, nello sport e nel gruppo dei propri pari, dove poter vivere liberamente da qualsiasi vincolo di forza o di imposizione, preferendo “al codice d’onore” la rivalutazione delle risorse produttive sane di cui la Sicilia dispone e che appartengono a tutti i siciliani onesti.

Scegliere di diffondere ai giovani, dopo sedici anni dalle stragi del ’92, in modo semplice l’esempio che i due giudici con i loro affetti più cari, e con gli uomini e le donne che li proteggevano, hanno donato a tutti i siciliani con il sacrificio della loro stessa vita, significa lanciare il messaggio che per tutti è possibile percorrere la via della legalità come una scelta libera e consapevole, e  che per ciascuno è una scelta possibile quella di voler dire ad alta voce il proprio “no” alla mafia ed alle sue regole criminali per difendere attivamente in prima persona, ciascuno in misura delle proprie capacità, i propri diritti civili e quelli dell’intera collettività.

Astrid Peralta
Pubblicato il 22.05.2008

“La Legalità come scelta di normalità”ultima modifica: 2008-05-22T01:41:00+02:00da aldo251246
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