Strage di Capaci: la cronaca, i veleni, i misteri. 23 MAGGIO 1992, ORE 17,58.

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Nel diciassettesimo dalla Strage di Capaci è interessante rileggere le pagine della cronaca dei giorni immediatamente successivi a quello scenario di guerra che rimase sotto gli occhi spalancati dei primi testimoni, e che ancora oggi sconvolge chi ne rivede le immagini.

Ogni anno i bambini del ’92, gli adolescenti di quell’estate tragica e dolorosa impressa nella memoria degli italiani, si aggiungono a tutti coloro che ricordano Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinari, Vito Schifani, Rocco Dicillo, tutti morti sul campo della battaglia iniziata coraggiosamente, e con consapevolezza dei rischi che ciò comportava, contro la Cupola mafiosa, su un terreno impervio e non privo di ostacoli.

Veleni, contrasti e lotte di potere interne alla Procura palermitana non resero certo nè facile né agile la mole di lavoro investigativo portata avanti dal Pool antimafia;

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano in trincea, la ineluttabilità degli eventi e la cronaca degli anni successivi hanno confermato come il loro impegno non fosse corale, nè condiviso.

Veleni e contrasti, esistenti ancora oggi tra i diversi fronti delle correnti della magistratura palermitana, creano pericolose distorsioni agli esiti formidabili del maxi-processo e della mole di informazioni investigative che il Pool antimafia aveva prodotto negli anni ’80; ed i cittadini rimangono perplessi di fronte agli scontri tra uomini di legge che dovrebbero stare tutti dalla stessa parte.

Duole riscontrare, invece, che l’affiatamento di Falcone e Borsellino con i colleghi del Pool non c’è ancora oggi tra i colleghi che hanno ereditato il loro sacrificio, come uomini e come giudici, mentre ai cittadini farebbe bene sapere che la giustizia viaggia tutta verso la stessa meta,  non soltanto  nelle occasioni delle tristi ricorrenze che hanno puntellato la storia della Prima Repubblica e della democrazia di questo Paese, delle cui stragi si deve alzare il vergognoso fardello del compromesso di comodo e dell’accondiscendenza in nome della verità.

Redazione blog http://latuavocelibera.myblog.it

 

MAFIA: LE MOTIVAZIONI DELLA CASSAZIONE SUL MAXIPROCESSO A UN MESE DALL’ UCCISIONE DEL GIUDICE

Falcone vide giusto, la Cupola c’ e’

Svanisce il giallo del diario: il dischetto e’ sul tavolo del procuratore

Pagina 1
(23 giugno 1992) – Corriere della Sera


PALERMO . La Cassazione ha reso note le motivazioni della sentenza emessa il 30 gennaio scorso, a conclusione del primo maxi processo a Cosa nostra finito con la condanna dei boss. I giudici hanno ritenuto valida l’ impostazione di Falcone: la mafia e’ un’ organizzazione piramidale con al vertice la Cupola, cioe’ un gruppo ristretto di padrini che governa i clan.

Intanto il giallo del diario di Falcone si e’ sciolto ieri mattina a Caltanissetta aprendo una cassa di documenti giunta alla Procura della Repubblica dopo essere rimasta per un paio di giorni in un ufficio del tribunale di Palermo. Si tratta della cassa spedita dai funzionari della Criminalpol che hanno stampato i lavori dei computer utilizzati da Falcone al ministero. Ma il “top secret” e’ la parola d’ ordine del procuratore Celesti che dice solo: “Non c’ e’ alcun mistero”.

Fra le carte di Falcone figurano anche annotazioni su colleghi e vicende legate alle cronache e ai veleni siciliani: il contesto sul quale pensava di scrivere un libro se fosse stato bloccato nella candidatura alla Superprocura. Contro le verita’ di Maurizio Calvi, il vice presidente dell’ ultima “antimafia” certo della diffidenza di Falcone verso una parte di questura, carabinieri e prefettura, si scaglia il ministro Scotti parlando di “un’ inopinata serie di veleni” che avrebbero “lo scopo di rendere sempre piu’ confuso cio’ che ancora, purtroppo, dell’ eccidio di Capaci non e’ chiaro”. Le indagini. Poche le novita’ ad un mese esatto dalla strage. Dagli USA rimbalza il credito del Fbi alla pista dei narcos colombiani. A Palermo si cerca di passare dagli identikit a qualche boss da arrestare. A pagina 13

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UNA STRAGE COME IN LIBANO

Repubblica — 24 maggio 1992   pagina 2

di ATTILIO BOLZONI

PALERMO – E’ morto, è morto nella sua Palermo, è morto fra le lamiere di un’ auto blindata, è morto dentro il tritolo che apre la terra, è morto insieme ai compagni che per dieci anni l’ avevano tenuto in vita coi mitra in mano. E’ morto con sua moglie Francesca. E’ morto, Giovanni Falcone è morto. Ucciso dalla mafia siciliana alle 17,58 del 23 maggio del 1992. La più infame delle stragi si consuma in cento metri di autostrada che portano all’ inferno. Dove mille chili di tritolo sventrano l’ asfalto e scagliano in aria uomini, alberi, macchine. C’ è un boato enorme, sembra un tuono, sembra un vulcano che scarica la sua rabbia. In trenta, in trenta interminabili secondi il cielo rosso di una sera d’ estate diventa nero, volano in alto le automobili corazzate, sprofondano in una voragine, spariscono sotto le macerie. Muore il giudice, muore Francesca, muoiono tre poliziotti della sua scorta. Ci sono anche sette feriti, ma c’ è chi dice che sono più di dieci.Alcuni hanno le gambe spezzate, altri sono in fin di vita. Un bombordamento, la guerra. Sull’ autostrada Trapani- Palermo i boss di Cosa Nostra cancellano in un attimo il simbolo della lotta alla mafia. Massacro “alla libanese” per colpire e non lasciare scampo al Grande Nemico. Una tonnellata di esplosivo, un telecomando, un assassino che preme un tasto. Così uccidono l’ uomo che per dieci anni li aveva offesi, che li aveva disonorati, feriti. La vendetta della mafia, la vendetta che diventa morte in un tratto di autostrada a cinque chilometri e seicento metri dalla città, la città di Giovanni Falcone, la città dove pochi lo amavano e molti lo odiavano. La mano sotto il giubbotto La cronaca della strage comincia all’ aeroporto di Punta Raisi quando su una pista atterra un DC 9 dell’ Alitalia e subito dopo un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti proveniente da Roma. Sopra c’ è Giovanni Falcone con sua moglie Francesca. Sono le 17,48 quando il jet è sulla pista di Punta Raisi. E sulla pista ci sono come ogni sabato pomeriggio tre auto che lo aspettano. Una Croma marrone, una Croma bianca, una Croma azzurra. E’ la sua scorta, la solita scorta con Antonio, Antonio Montinari, agente scelto della squadra mobile che appena vede il “suo” giudice che scende dalla scaletta si infila la mano destra sotto il giubbotto per controllare la bifilare 7,65. Tutto è a posto, non c’ è bisogno di sirene, alle 17,50 il corteo blindato che trasporta il direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia è sull’ autostrada che va verso Palermo. Tutto sembra tranquillo, ma così non è. Qualcuno sa che Falcone è appena sbarcato in Sicilia, qualcuno lo segue, qualcuno sa che fra otto minuti la sua Croma passerà sopra quel pezzo di autostrada vicino alle cementerie. La Croma marrone è davanti, centotrenta all’ ora. Guida Vito Schifani, accanto c’ è Antonio, dietro Rocco Dicillo. E corre, la Croma marrone corre seguita da altre due Croma, quella bianca e quella azzurra. Sulla prima c’ è il giudice che guida, accanto c’ è Francesca Morvillo, sua moglie, anche lei magistrato. Dietro un altro agente di scorta. E altri quattro sulla Croma azzurra. Un minuto, due minuti, la campagna siciliana, l’ autostrada, l’ aeroporto che si allontana, quattro minuti, cinque minuti, il DC 9 dell’ Alitalia proveniente da Roma che scende verso il mare e sorvola l’ A 29. Sono le 17,57, Palermo è vicina, solo sette chilometri, solo pochi minuti. Lo svincolo per Capaci è lì, c’ è un pò di vento, ondeggia il cartellone della “Sia Mangimi”, si muovono gli alberi, il mare è increspato. Ecco, sono quasi le 17,58. La Croma marrone è sempre avanti, il contatto radio con le Croma bianca c’ è, la “linea” è silenziosa, vuol dire che tutto va bene, non c’ è problema. Ma dietro, intorno, da qualche parte, c’ è l’ assassino, ci sono gli assassini che aspettano Giovanni Falcone. Sono le 17,58. C’ è una curva larga, c’ è un rettilineo di 180 metri, c’ è un’ altra piccola curva. E c’ è un sottopassaggio prima di arrivare ad una specie di colonna grigia con su scritto “Cementerie siciliane”. Il cartello che indica l’ uscita per Isola delle Femmine è a qualche metro, più avanti ci sono due gallerie. Sempre buie, sempre mal illuminate. Sono le 17,58 e Salvatore Gambino, coltivatore diretto di trentaquattro anni, passeggia su un ponticello e guarda le auto che sfrecciano sull’ autostrada. Sono le 17,58 e una Fiat Uno con una coppia di austriaci va verso Trapani seguita da una Opel Corsa di colore rosso. Sono le 17,58 quando la mafia compie la sua vendetta. “Ho visto una fiammata e poi ho sentito un boato…forse prima ho sentito il boato e poi ho visto del fumo nero”, racconterà un’ ora dopo confuso il coltivatore Salvatore Gambino a un carabiniere. 17,58, l’ ora del massacro, l’ ora dell’ infamia, dell’ orrore, della morte. Il lampo, il tuono, la strada si apre per cinquanta metri verso Palermo e per cinquanta metri verso Trapani.

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Immagine tratta da http://farm1.static.flickr.com

 

UN MESE FA LA STRAGE DI CAPACI: PALERMO SI PREPARA A RICORDARE MENTRE SI SGONFIA IL CASO DEGLI APPUNTI

Il diario di Falcone e’ ricomparso

Il dischetto e’ gia’ nella procura di Caltanissetta. da identikit e pentiti forse i nomi di due boss

Cavallaro Felice

Pagina 13
(23 giugno 1992) – Corriere della Sera

DAL NOSTRO INVIATO PALERMO . Il diario di Falcone c’ e’ ed e’ a Caltanissetta. Sono decine e decine di pagine stampate dal “file” di uno dei due computer sui quali il giudice lavorava nel suo ufficio del ministero di Grazia e Giustizia a Roma. Si tratta di annotazioni che riguardano colleghi, scontri, vicende legate alle cronache e ai veleni siciliani con sfondo romano. Ma se dipendera’ dal procuratore di Caltanissetta Salvatore Celesti non ne sapremo mai niente: “Posso dire solo che non c’ e’ alcun mistero”. Si pensava a un giallo perche’ il diario del quale ha parlato il giudice Giuseppe Ayala sabato a Genova non si trovava. E invece era finito in una cassa spedita dalla Criminalpol di Roma al Palazzo di giustizia di Palermo dove e’ stata consegnata ad uno dei nuovi sostituti applicati alla procura di Caltanissetta, Piero Vaccaro. Senza conoscerne il contenuto perche’ mancava una visibile lettera di trasmissione, e’ stato lui a portare la cassa con tutte le carte di Giovanni Falcone a Caltanissetta, ma procuratore e sostituti le hanno aperte solo ieri mattina. Nessuna conferma diretta o indiretta da parte dei magistrati che si limitano a garantire il top secret sul contenuto del diario. Ma le casse vanno e vengono, le fotocopie qualcuno puo’ averle gia’ fatte e poi non c’ e’ nulla di piu’ anonimo di un floppy disk perche’ chi ha accesso alla memoria puo’ battere un tasto, aggiungere un aggettivo, tagliare una negazione, ribaltare il senso di un’ intera frase. Il terrore di una eventuale macchinazione serpeggia su una Palermo schiaffeggiata dalle rivelazioni del vice presidente della commissione antimafia Maurizo Calvi, che ha ricordato una presunta diffidenza di Falcone nei confronti di questura, carabinieri e prefettura per un intreccio tra mafia e istituzioni. Il veliero dei veleni, spinto dalle polemiche sul diario e sull’ intreccio, avanza verso Palermo, ma sono in tanti a costruire una diga per impedirne l’ approdo, per evitare che anche questo massacro sia seguito da lotte intestine con scontri interni agli apparati investigativi.

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COSI’ SCRISSE FALCONE NEL DIARIO DEI MISTERI

Repubblica — 23 giugno 1992   pagina 10

di GIUSEPPE D’AVANZO

ROMA – Oggi il “giallo” del diario di Falcone potrebbe (dovrebbe) sciogliersi. E’ quanto fa capire il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore Celesti. Il titolare dell’ inchiesta sulla strage di Capaci, a tarda sera, dichiara: “Non c’ è più mistero per quanto riguarda il diario”. Che cosa vuol dire, procuratore, che gli appunti personali di Falcone sono stati ritrovati? “Io posso dire soltanto che tutto il materiale sequestrato nelle abitazioni e nell’ ufficio di Falcone sono nelle mie mani. Posso dire soltanto che non c’ è nessun mistero”. Ma il diario esiste, è stato sequestrato? “Ripeto: non c’ è nessun mistero”. Di più il procuratore non dice, non vuol dire, non può dire. Ma il “mistero” sembra avere, a tarda sera, le ore contate. Per tutto il giorno, nella nebbia di interrogativi e ipotesi, buoni per ogni stagione e per ogni “delitto eccellente”, erano stati tre i fatti certi. Il primo. Una volta trasferito in Procura come aggiunto, il giudice tenne, aggiornandolo sul computer, un “diario” meticoloso, scritto con freddezza, con stile asettico. Nessun veleno o tono rancoroso. Solo fatti e ancora fatti destinati ad una privatissima memoria. Lo ha svelato Ayala, ne ha parlato informalmente Paolo Borsellino ai giudici di Caltanissetta, lo conferma oggi Leonardo Guarnotta, giudice istruttore del pool. Il secondo. Il diario non contiene nessuna informazione che possa aiutare le indagini. Nulla di “penalmente rilevante”, dunque, ma molte circostanze che potrebbero (e dovrebbero) essere vagliate dal Consiglio superiore della magistratura. Il terzo. Il floppy-disk, che conteneva il diario, non si trovava e non sarebbe l’ unico reperto assente nel sequestro degli effetti di Giovanni Falcone. Al repertorio mancherebbero anche un Toshiba portatile e un data bank Casio. L’ esistenza del diario. Giovanni Falcone non parlò soltanto a Giuseppe Ayala della cronaca del Palazzo che, giorno dopo giorno, andava stendendo. Ayala ricorda: “Giovanni mi disse un giorno: ‘ Se mi succede qualcosa, tu sai che c’ è questa mia memoria’ . Io tagliai corto: ‘ Dio mio, Giovanni… sempre di morte dobbiamo parlare…’ . Ma in un’ occasione certamente ne parlò alla presenza anche di Borsellino e Guarnotta”. Dunque, direttamente ne erano stati informati anche Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta. Indirettamente, per lo meno, altri due sostituti della Procura di Palermo erano a conoscenza della “memoria”. Racconta Leonardo Guarnotta: “Ricordo perfettamente l’ occasione di cui parla Ayala. Giovanni era stato già trasferito a Roma. Erano gli ultimi giorni della sua permanenza a Palermo. Nel suo ufficio c’ eravamo io, Paolo (Borsellino) e Giuseppe (Ayala). Discutevamo delle ragioni che lo avevano spinto ad andar via. Ad un certo punto, Giovanni accese il computer, digitò qualcosa sulla tastiera e ci lesse un brano di quel suo diario, ce lo lesse per dimostrarci che non se ne andava di sua spontanea volontà, che era stato costretto ad andar via…”. Che cosa c’ era scritto nel diario? E’ questo l’ interrogativo che è chiamato a sciogliere Salvatore Celesti, procuratore capo di Caltanissetta e titolare dell’ inchiesta sulla strage di Capaci. Celesti interrogherà presto Ayala, Borsellino e Guarnotta. Al di là dell’ interrogatorio, comunque, i “capitoli” del diario sono per gran parte noti, anche grazie alle rivelazioni di una puntuale cronaca dell’ Espresso. Sono trentanove, come trentanove furono le occasioni di conflitto e di dissidio con il procuratore capo Pietro Giammanco che mise Giovanni Falcone nella condizione di non lavorare come avrebbe potuto e saputo, che lo costrinse, di fatto, a dover abbandonare la Procura e Palermo. Si va dalla decisione di togliere al giudice assassinato la delega per le inchieste di mafia, alla comunicazione che la riunione settimanale del pool non si sarebbe più tenuta nell’ ufficio di Falcone al pianterreno del Palazzo, ma al primo piano nello studio del procuratore capo. Dalla circostanza che in qualche occasione Falcone fu costretto anche ad attendere a lungo in piedi dinanzi alla porta di Giammanco prima di essere ricevuto (circostanza pregna di significati in una città, come Palermo, attentissima ai segnali di prestigio e in un Palazzo, come quello di Giustizia, occhiutissimo nello scorgere le mosse che legittimano e quelle che delegittimano) alla controversia che Falcone ingaggiò con Giammanco dopo che il nucleo speciale dei carabinieri consegnò in Procura il rapporto sulla mafia degli appalti, un lavoro certosino durato anni che raccontava come tutti gli appalti di Palermo passano attraverso la mediazione di Angelo Siino, titolare di una concessionaria d’ auto, uomo fidato dei Corleonesi. Falcone valutò il rapporto con grande attenzione. Giammanco e i suoi sostituti più fidati con scetticismo. Anzi, con scherno. “Tanta carta per nulla, in questo rapporto non c’ è scritto niente che merita di diventare inchiesta giudiziaria”, disse uno dei fedelissimi di Giammanco.

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MA IL DIARIO DEL GIUDICE è SCOMPARSO NEL NULLA

Repubblica — 24 giugno 1992   pagina 9

di GIUSEPPE D’AVANZO

ROMA – L’ ottimismo della Procura di Caltanissetta era ingiustificato. Il procuratore Salvatore Celesti aveva annunciato, lunedì a tarda sera, che “non c’ è nessun mistero per quanto riguarda il diario di Giovanni Falcone”. Ventiquattro ore dopo, il mistero continua ad esserci. Anzi vive e s’ infittisce, gonfiato da “voci” smentite nello spazio di un’ ora, sostenuto da una contraddizione evidente. Questa. La Procura di Caltanissetta tende a ridimensionare, tranquillizzare, lascia capire che “gli appunti” sono stati sequestrati e protocollati. I giudici, tuttavia, non riescono ancora a dire ufficialmente che la “cronaca” del Palazzo dei Veleni, alla quale si riferiscono un deputato (Giuseppe Ayala), due magistrati (Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta), due giornalisti (Francesco La Licata, Saverio Lodato), sia “agli atti” della loro inchiesta. Ripetono, i giudici, che “tutto il materiale sequestrato nelle abitazioni e nell’ ufficio di Falcone è nelle loro mani”, ma non confermano che quella “memoria” privata sia in loro possesso. Ieri il pool di Caltanissetta che sta indagando sulla strage di Capaci ha fatto gran mostra di serenità. Tra le maglie del segreto istruttorio è filtrato che “alcuni appunti erano stati consegnati dai familiari del giudice ucciso”. Era il “diario” che Falcone aveva tenuto negli amari vissuti, come aggiunto, alla procura della Repubblica di Palermo? Il “giallo” era, dunque, all’ ultimo capitolo, semmai “giallo” era mai stato? L’ indiscrezione è stata subito smentita. Nella mattinata di ieri i familiari di Giovanni Falcone hanno consegnato soltanto il Toshiba portatile e il data bank Casio che, abitualmente utilizzati da Falcone, non figuravano nell’ inventario dei reperti sequestrati a Roma e Palermo. Ma con il Toshiba e il Casio i familiari non hanno potuto consegnare ciò che non hanno trovato e non potevano trovare, ovvero gli “appunti” del giudice assassinato. Né quegli “appunti” sono nel materiale elettronico sequestrato, una settimana dopo la strage, nell’ ufficio di via Arenula. Dunque, a tre giorni dalla denuncia di Giuseppe Ayala, il mistero del “diario” rimane quel che era: un mistero. Dov’ è finita la “memoria”? E’ stata sottratta la notte stessa della strage di Capaci prima che i carabinieri apponessero i sigilli all’ ufficio di Falcone? O è scomparso da una delle borse che il giudice portava con sé a Palermo la sera del 23 maggio, restate per tre giorni alla Procura di Palermo tra le proteste del procuratore capo di Caltanissetta? O, come ironicamente conclude Ayala, “si deve concludere con bonaria volontà che il dischetto è stato buttato via dallo stesso Falcone?”. Intanto, ieri, a Roma, mentre si raffreddavano le polemiche e il ministro Scotti chiariva “di non aver mai inteso in alcun modo, riferisi all’ onorevole Ayala estraneo nel modo più assoluto ad ogni polemica strumentale su Falcone”, il deputato repubblicano è stato interrogato, a tarda sera, dai sostituti Petralia e Giordano del pool di Caltanissetta. L’ ex-collaboratore di Falcone ha confermato quanto detto pubblicamente: Falcone tenne quand’ era procuratore aggiunto una “cronaca” di quanto avvenire “dentro e fuori il palazzo di Giustizia”; di questa “memoria” erano a conoscenza i suoi più fidatissimi collaboratori, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, di certo. Sempre ieri è stata ascoltata anche Liliana Ferraro, numero due di Falcone alla Direzione degli Affari Penali. In mattinata Ferraro aveva ripetuto che “il testamento di Giovanni Falcone è nei suoi processi”. “Di memoriali o altro contenenti elementi utili per le indagini Giovanni non mi aveva mai parlato – aveva continuato Liliana Ferraro – Se invece si fa riferimento a fatti personali che riguardano anche la sua vicenda professionale sono a conoscenza di molti episodi. Se necessario ne riferirò all’ autorità giudiziaria”. E’ quanto ha fatto ieri. – 

di GIUSEPPE D’AVANZO

Fonte

Strage di Capaci: la cronaca, i veleni, i misteri. 23 MAGGIO 1992, ORE 17,58.ultima modifica: 2009-05-23T00:40:00+02:00da aldo251246
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