STORIE VERE , “Stelle bruciate”

stelle hotel

Terza puntata

Ustica, vent’anni dopo. Al tramonto, tre uomini, col capo nascosto dai cappucci delle felpe scure, escono da un cancelletto laterale di una palazzina apparentemente incustodita, la cui entrata principale è ostruita da una vecchia utilitaria bianca. Il cancelletto non viene sbarrato né chiuso a chiave, i tre hanno con sé sacchetti da spesa, un borsone di pelle nuovo e lucido, ed un capiente zaino verde militare in tela.

Due dei tre, più giovani, sembra che reggano a braccio il terzo che non tiene il passo,  è il più anziano, e sembra sofferente. I tre percorrono il centro del paese passando per vicoli e traverse, mentre le ultime luci delle casette si spengono al loro passaggio. Un’auto è ferma appena fuori il centro del paese, sulla discesa verso il porto. I tre salgono velocemente sull’auto che riparte verso il molo, si sente battere in lontananza il campanile della chiesa.

 

Poco lontano dall’attracco principale degli aliscafi, nel buio del porto, si avverte il rumore del motore acceso di un piccolo cabinato su cui due uomini hanno già preparato delle tavole di legno approntando una passerella per far salire i passeggeri. Sono i tre uomini che scesi dall’utilitaria salgono a bordo del motoscafo che parte velocemente, non sulla rotta illuminata dal faro, ma verso la parte opposta, a ovest di Palermo alla volta di un approdo sicuro di una località turistica.

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Sull’isola calano buio e silenzio. Due uomini equipaggiati come per una battuta di caccia ritirano le corde che li assicuravano al costone roccioso; spengono la lampada che poco prima illuminava lo specchio di mare sottostante, e discendono dall’altura dello Scoglio del Diavolo dirigendosi verso le proprie case; la partenza dei tre uomini è stata ben pianificata, ed è andato tutto come previsto. Il mattino seguente due ragazzini pedalano veloci verso le campagne, dopo essere passati davanti all’ingresso delle due palazzine abbandonate, quelle dove vent’anni prima c’era un albergo, e dove ora si dice ci siano i fantasmi, perchè di tanto in tanto da una delle finestre rotte che danno sul vicolo, si vedono delle luci accese e si sentono dei rumori. Ad attendere i due adolescenti c’è il gruppetto degli amici; l’argomento del giorno sono quei fantasmi e quelle luci che pare la notte prima abbiano animato ancora una volta l’albergo abbandonato.

Bonvento dopo 24 anni riceve una telefonata, proviene da un prestigioso studio legale della Palermo “bene”, il titolare è già senatore, e i suoi assistenti sono al lavoro per chiudere una volta e per tutte il “caso” dell’Hotel **** di Ustica. L’albergo è ancora nelle mani della curatela, che, negli anni, lo ha chiuso con lo stratagemma di mischiare le carte della società proprietaria con quelle della società amministratrice facendole fallire entrambe, col risultato di non pagare, poi, nessun creditore, né banche né fornitori.

L’obiettivo è raggiunto: sull’isola non c’è concorrenza che possa disturbare le “famiglie” degli albergatori, né i traffici marittimi che nella notte spezzano il lento rumore del mare più nero del Mediterraneo. L’albergo**** è fuori dal mercato turistico, ormai è abbandonato con i catenacci manomessi, lasciato alla mercè di chi può entrarvi indisturbato dal cancelletto retrostante. Una breve su un quotidiano regionale rende nota l’intenzione del rieletto sindaco di Ustica, nipote dello storico sindaco-albergatore, di acquisire “l’albergo abusivo” al patrimonio immobiliare comunale per destinarlo ad un’associazione culturale e, in parte, alla locale stazione dei carabinieri.

Gli obiettivi sono ormai palesi, l’”ex albergo” verrà smantellato per sfamare gli appetiti di più lobby di potere: la curatela fallimentare coinvolge in extremis il fratello di Bonvento non dichiarato fallito per sventare la presa di mano del sindaco usticese e salvare il patrimonio immobiliare della massa fallimentare; intanto le indagini partite sulle denunce del Bonvento vengono archiviate a sua insaputa dal procuratore, insieme alla richiesta di sequestro preventivo dell’albergo; neanche il legale di Bonvento lo informa, anzi lo stesso legale, carpendo i documenti di vent’anni di cause e sentenze pilotate, fa acquisire all’asta l’albergo per un prezzo vile ad una società falsando firme e bilanci. Ma anche sulle denunce attestanti questi reati non indagano né la Guardia di finanza, né i Carabinieri, né i procuratoti che via, via si passano gli incartamenti delle denunce attendendo la scadenza dei termini.

I giochi sembrerebbero chiusi, nessuno “dovrà più parlare” dell’Hotel ****, Bonvento “non dovrà più metter piede” sull’isola, anzi un procuratore consiglia in modo sibillino al Bonvento di “non esporsi e di non recarsi ad Ustica”, ma sul tavolo di tre Procure siciliane, e di una sarda, e negli uffici del GICO di Palermo, erano arrivate da tre anni le denunce del Bonvento contro legali, consulenti, professori universitari e imprenditori della grande distribuzione che, di fatto, sono diventati, dopo l’asta fallimentare, i nuovi padroni dell’ “ex albergo”, ormai svuotato e imbiancato per diventare, nella migliore delle ipotesi, un contenitore destinato a deposito alimentare, o, più comodamente, un luogo sicuro per latitanti in cerca di soggiorni turistici in anonimato a due passi dalle coste palermitane.

Sono gli anni della cattura del boss “Binu” Provenzano e degli esponenti del clan carinese dei Lo Piccolo;  iniziano le indagini sui Re dei supermercati. Nel contempo la Banca siciliana che, attraverso direttori e avvocati collusi decretò il fallimento dei Bonvento, viene condannata per bancarotta. Il Cavaliere del lavoro presidente dei supermercati di Carini viene fermato a Milano dai finanzieri del GICO con un sacchetto di spesa con 5oo mila euro pronti per essere riciclati all’estero, verrà indagato insieme agli eredi  per riciclaggio del denaro del boss Provenzano.

Eppure nonostante le reiterate denunce contro quegli stessi soggetti, Bonvento rimane alla mercè dei chiari messaggi intimidatori che vorrebbero ridurlo al silenzio: telefonate anonime, squilli, scampanellate al citofono di casa, e, infine, il furto e la distruzione a colpi di mazza della sua utilitaria. L’unico risultato è una visita informale dei Carabinieri che si limitano ad informarsi sullo stato di salute del Bonvento. Intanto le denunce giacciono presso la segreteria della Procura come “pseudo notizie di reato” al riparo dalle indagini sotto la lapide dell’articolo 45. Bonvento allora si rivolge a politici portavoce dell’antiracket, ma anche qui il copione non cambia: “i nomi sono troppo importanti” ed “è meglio rinunciare “. Anche per la Prefettura “non ci sono estremi di pericolo”; così come per la Questura “non esiste verbale di rinvenimento dell’auto né denuncia”.

Il messaggio è chiaro: chi è fuori dalle lobby di potere, dagli intrigati legami d’amicizia e di denaro, chi non accetta cene e compromessi non può denunciare, né pretendere poi il lusso che qualcuno si scomodi a fare le indagini, anche a costo della incolumità di chi ha deciso di denunciare.

L’unica via è rompere quel silenzio insidioso che unisce procuratori, giudici e avvocati collusi: Bonvento decide di affidare verità e documenti alla comunità digitale, apre un blog su cui pubblicare tutti i fatti puntualmente dimostrabili: il rinvio a giudizio che l’allora procuratore Paolo Borsellino emise contro il sindaco-albergatore e contro la madre per interessi privati in atti d’ufficio insieme al capo dell’ufficio tecnico comunale; tutte le foto dello stato dell’albergo prima che venisse depredato da irruzioni notturne che rimangono impunite nonostante le denunce, e nonostante tutti sappiano che le suppellettili dell’albergo siano sparse per l’isola; le fatture attestanti la vendita illegale degli arredi alla società aggiudicatrice su cui nessuno indaga visto che le denunce in Procura rimangono “pseudo notizie di reato”; il verbale di polizia attestante la denuncia per il furto dell’utilitaria presa a sprangate e ridotta ad un rottame .

Insieme ai documenti viene resa nota la trascrizione della telefonata estorsiva intercorsa tra l’ingegnere Collesano e Bonvento, incisa sul nastro magnetico che il GICO della Guardia di Finanza di Palermo nel 1994 aveva presentato al procuratore palermitano che, invece, archiviò velocemente fascicoli e cassetta, sigillandola senza neanche ascoltarla. Tutti gli uffici inquirenti di più Procure ascoltano quel nastro riversato su un cd ma nessuno indaga. Eppure, solo qualche anno dopo quell’inchiesta archiviata, quell’ingegnere verrà condannato in primo grado, e poi in appello, per associazione mafiosa come prestanome dei beni del boss “Totò” Riina, che ne fu pure “inquilino” nell’ultimo covo, quella villa lussuosa, a due passi dal centro di Palermo, che fu svuotata e imbiancata senza che nessuno ne predisponesse la perquisizione. Né telecamere né giornalisti si interessarono all’ultimo comodo rifugio del boss; nessuno scavò e mise sotto la lente d’ingrandimento quelle stanze; chissà quanti documenti e quanti “pizzini” andarono persi e non poterono essere pubblicati sui libri di giudici e cronisti.

Le pressioni aumentano: Bonvento viene seguito, le sue telefonate sono controllate, come il suo pc. Dunque i primi effetti di Internet sono chiari: qualcuno è preoccupato, qualcun altro è in allerta; arrivano anche telefonate di alti esponenti della massoneria palermitana in possesso delle utenze telefoniche del Bonvento a sua insaputa, che, intanto, reitera la richiesta di sequestro dell’albergo per provare l’ingiustizia di un fallimento anomalo ancora aperto dopo venticinque anni disprezzando diritti civili e individuali del fallito.

Le archiviazioni di Gip e procuratori, contemporanemente, chiudono le indagini su tutte le denunce di Bonvento prima del Ferragosto e prima del Natale, nel chiaro intento di impedire i rituali ricorsi, per porre un lapidario non luogo a proseguire le inchieste e a non emettere i rivio a giudizio. Anzi un Gip che deve esprimersi su un Pm, denunciato e reo confesso di aver chiaramente invitato il Bonvento ad accontentarsi “di pochi maledetti e subito”, per salvare il collega archivia e asserisce che la costruzione dell’Hotel**** “non è mai stata portata a termine” da quel lontano 1978, anno in cui il sindaco-albergatore di Ustica iniziò la sua battaglia personale contro i Bonvento per proteggere gli affari della pensione turistica della madre, che, per quanto abusiva, diverrà un Hotel *** con tanto di certificati a norma, in dispregio alle leggi antisismiche, alle aerofotogrammetrie, e malgrado sull’isola sia di pubblico dominio che gli ex amministratori ed i loro contigui  siano immuni dal reato di abusivismo.

Neanche Borsellino riuscì a ottenere vent’anni prima la condanna di quei potenti esponenti locali, il processo si concluse con l’assoluzione per insufficienza di prove, e, come se ciò già non bastasse, “nell’ingiustificata ansia di assolvere gli imputati” questi vengono salvaguardati anche da imputazioni a loro non ascritte; una “sentenza di mafia”  come si disse nei corridoi del Tribunale.

Un incendio doloso, improvvisamente, sull’isola brucia i locali dell’ufficio tecnico con i suoi venticinque anni di documenti, insieme a chissà quanti segretissimi scambi di favore; mentre l’Hotel****, nonostante i permessi e le autorizzazioni, rimane chiuso perché abusivo con i suoi cinque piani per palazzina al centro del paese che, però, secondo il Gip non esistono. Cenere e polvere volano attraverso il vetro della finestra dell’ufficio tecnico rotto durante la supposta effrazione; i pompieri accorsi all’alba spengono le ultime braci che nella notte hanno oscurato la luce fioca di qualche stella ormai lontana nei cieli di una fredda mattina autunnale.

 

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STORIE VERE , “Stelle bruciate”ultima modifica: 2009-06-24T17:12:00+02:00da aldo251246
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