“TOGHE SCATENATE”, pagine di in-giustizia quotidiana

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il Giornale

Sabato 5 marzo 2011

IL FATTO

FERMIAMO I MAGISTRATI MATTI

CAOS GIUSTIZIA. L’INCHIESTA/1

La riforma della giustizia italiana non serve a Berlusconi, ma alla gente normale prigioniera di una casta di intoccabili

Giudici e pm sono gli unici che non pagano mai, anche se sbagliano. Da oggi vi raccontiamo tutti i loro errori e le loro manie

di Stefano Zurlo

C’è il giudice che chiede l’elemosina in mezzo alla strada, ad un passo dal tribunale; quello che fa ipnotizzare il teste di un omicidio, nella speranza che così ricordi quei momenti terribili e l’altro che ha cosparso di Nutella i bagni del tribunale.

Storie incredibili e dagli esiti altrettanto stupefacenti: per scoprirle basta andare al Csm e bussare alla porta della Sezione disciplinare, in pratica il tribunale che giudica gli illeciti commessi dalle toghe.

È quel che ho fatto raccogliendo poi circa 70 casi nel libro La legge siamo noi, la casta della giustizia italiana, Piemme. Ecco allora il magistrato che ha dato a un detenuto il permesso di incontrare il figlio dodici volte l’anno per il compleanno e a un altro carcerato ha dato la possibilità di vedere il fratello in punto di morte dopo averlo autorizzato a partecipare al suo funerale. Sembrano episodi buoni per una fiction bizzarra, sono pagine di in-giustizia quotidiana. Squarci sul fondale dei nostri palazzi di giustizia o di altre location.

C’è il magistrato che non paga il conto al ristorante e anzi chiama i carabinieri e quello che minaccia i militari che vogliono sottoporlo alla prova del palloncino: «Vi faccio trasferire a Lampedusa». E ci sono soprattutto (non sempre e per fortuna oggi meno di qualche anno fa) le sentenze surreali. Il giudice che chiedeva l’elemosina viene assolto per «aver agito in stato di incapacità di intendere e di volere». In quel momento. Perché subito dopo indossa di nuovo la toga. E resta al suo posto.

NUMERI

1.010 Sono i provvedimenti disciplinari contro altrettanti magistrati nel periodo 1999-2006. Ben 812, più dell’80%,si sono conclusi con l’assoluzione, mentre 192 sono terminati con una condanna

126 Sono le condanne con «ammonimento», la pena più soft. Le censure sono state 38, mentre le sanzioni in grado di rallentare la carriera – la perdita di anzianità da 2 mesi a 2 anni- sonostate22

6 Sono i giudici condannati con la sentenza più grave, quella dell’espulsione dall’ordine giudiziario. Due le toghe che sono tecnicamente state «rimosse », quattro i giudici «destituiti»

22% È la percentuale di toghe condannate se si prende in esame anche la media statistica del periodo 1998-2007. Nei processi penali dopo i tre gradi di giudizio le condanne sfiorano in media il 40%

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il Giornale

5 MARZO 2011-03-05

di Stefano Zurlo

Un giudice che fa ipnotizzare un teste per estrargli con la tenaglia della scienza ricordi confusi non s’era mai visto. Almeno nelle stanze del Csm. Anche perché è vietato. L’articolo 188 del codice di procedura penale parla chiaro: non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di auto determinazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. E questo, naturalmente, per garantire la libertà della persona e la genuinità della prova. Tutte questioni che Paola C., Pm in una città delle Marche, ha pensato bene di superare di slancio. Il caso è difficile, spinoso. C’è un cadavere, quello di Carlo A., e c’è un teste, Mario N., che ha trovato il corpo dell’amico ucciso ed è stato interrogato dal Pm. Il punto è che lo choc è grande, i ricordi un cratere di guerra, le parole balbettii… La memoria, come quella di un computer, dev’essere recuperata per fornire all’investigazione spunti preziosi.

Intento nobile, ma di difficile attuazione almeno sul fronte penale. Il Pm invece va dritto per la sua strada e il 22 giugno2006 dispone una seduta ipnotica cui sottoporre il teste nella speranza di afferrare quel che è stato rimosso. Mario, va detto, è consenziente ma questo per il Csm vale poco o nulla. La capacità di auto determinazione è comunque pregiudicata, come si legge nei documenti ufficiali. Paola C. si ritrova nei guai. E si difende: la richiesta è arrivata dalla polizia giudiziaria, con l’intento di rimuovere il blocco che come un lucchetto sigillava la memoria. Eccolo, il punto: lei non ha mai ritenuto di poter catturare informazioni utili alle indagini, in un frustrante stato di stallo, con questa tecnica. E infatti di quelle sedute non è mai stato verbalizzato nulla. Semmai pensava di poter eliminare in questo modo lo choc e dunque di poter finalmente interrogare nel modo migliore il teste. Non dimentichiamo infatti che Mario ha fatto scena muta: ripeteva di non poter riferire nulla, ma proprio nulla sulla scena del crimine. Tabula rasa. Insomma, l’ipnosi doveva servire solo per ritrovare quei file perduti. Oltretutto Mario ha mantenuto in quegli incontri la piena capacità di intendere e in ogni caso le sollecitazioni del medico specialista non hanno fatto breccia.

I ricordi sono rimasti nascosti da qualche parte e non sono venuti fuori. Tutto vero. Ma per il Csm non si può giocare con la coscienza. Mai. Nemmeno per la migliore delle intenzioni.(…) Con l’ipnosi, il teste o chi per lui diventa uno strumento nelle mani di chi lo utilizza. E questo è proibito nel modo più assoluto. (…) Per la Disciplinare, la violazione del codice c’è tutta. È stato scavalcato l’articolo 188 del codice che è un muro a salvaguardia di valori importantissimi. E così la punizione, per quanto contenuta, non può non scattare. Il 29 gennaio 2007 Paola C. viene condannata all’ammonimento.

Sono le 19.00 del 25 maggio 2001. Federico E., ispettore di polizia,ha appena lasciato il Palazzo di giustizia di una città della Sardegna. Fa pochi passi e vede due persone che chiedono l’elemosina. La prima indossa abiti stracciati, ha il volto sofferente,è la classica mendicante, l’altra no: è ben vestita e ingioiellata. Strano. La osserva meglio (…) davanti a lui, con la mano tesa, c’è Lucia A., sostituto procuratore della Repubblica. Non ci sono dubbi (…). L’ispettore (…) scrive il suo rapporto: ha visto un magistrato, in prima linea contro il crimine, chiedere l’elemosina, per di più a due passi dal tempio della giustizia…È facile immaginare che anche i giudici del Csm siano rimasti basiti nell’affrontare un caso così scivoloso…

Un magistrato accattone, sia pure per pochi minuti… L’episodio viene ricostruito: Lucia A. ammette tutto offrendo, naturalmente, la propria versione. La storia più o meno è questa: intorno alle 19.00 incontra a due passi dall’ufficio Maria, così si chiama la poveretta, una donna che conosce ormai da 3 mesi. Di lei sa tutto,anche la sua penosa via crucis: una situazione familiare difficilissima, problemi su problemi, uno status economico sul ciglio della sopravvivenza. In tante altre occasioni l’ha aiutata, regalandole gli spiccioli, come spesso capita. Ma quella sera non ha niente in tasca e allora la vicenda prende un’altra piega… (…) Il magistrato ammette di essersi trovata in una situazione assurda(…) la ragione va cercata «in uno stato di stress non tanto a causa del lavoro quanto a un malessere interiore». (…) Il difensore del Sostituto procuratore sottolinea «la forte tensione solidaristica che anima la dottoressa verso persone in condizioni di miseria materiale e spirituale»; poi si sofferma «sulle particolari condizioni di salute in cui versava in quel periodo la nominata». (…)Un magistrato che va in strada a chiedere l’elemosina e sta male, può continuare a fare il magistrato? (…)

Il Csm studia in profondità la pratica. E di fatto si àncora per la decisione alle conclusioni cui è giunto il perito. Che afferma: «La condotta sintomatica del 25 maggio 2001 si iscrive… a partire proprio dalla devastante esperienza depressiva che aveva presentato i caratteri di un collasso dell’io, in una sorta di emorragia dell’autostima, dai riflessi anche sulla percezione del proprio ruolo sociale e della propria identità professionale». Il Csm (ha) preso atto di questa diagnosi(…) e la pratica è stata archiviata. Alla fine, il dossier torna nelle mani della Disciplinare che il 7 luglio 2006 emette la sentenza. Un verdetto che ogni lettore giudicherà come riterrà. Lucia A. viene assolta «per aver agito in stato di incapacità di intendere e di volere… essendo rimasto provato che la stessa nel momento in cui ha commesso i fatti, non era in grado, per infermità, di comprendere il significato e la portata degli atti che compiva e di determinarsi secondo motivi ragionevoli». Ma se non era imputabile, proprio come un bambino, come poteva svolgere il proprio delicatissimo compito?

TOGHE SCATENATE

Un libro racconta i provvedimenti disciplinari del Csm contro i giudici che si sono macchiati di comportamenti poco ortodossi

Una cena a base di ricci di mare e saraghi. L’attesa che si trasforma in delusione, perché il pesce non è fresco. La rabbia che cova e monta, fino al litigio con il proprietario del ristorante. Che fare? Di solito, il cittadino normale paga, magari condendo il conto con qualche battuta pesante, si alza e se ne va per non tornare mai più, perché su quel locale ha messo una bella croce. (…) Ma se al tavolo è seduto un magistrato, le cose possono cambiare e il finale può essere imprevedibile. (…)

È la sera del21marzo 2004. Mattia F., giudice in una città della Sicilia, va dunque in un ristorante nella terra dei Malavoglia di Giovanni Verga. È insieme alla moglie e sta pregustando una cenetta da incorniciare. Invece no, è il crollo delle aspettative. Pesce mediocre, anzi vecchio, meglio lasciarlo nel piatto. E lui non lo tocca, poi inizia a litigare con il padrone. A questo punto il colpo di scena: telefona ai carabinieri, si qualifica come«magistrato in servizio presso il tribunale » della città sicula, ottiene nel giro di pochi minuti una «pattuglia automontata», secondo la definizione da lui stesso data in una relazione di servizio. E che cosa fanno i militari? Chiudono alla grande la strepitosa serata sequestrando 5 chilogrammi di prodotti ittici. Il magistrato se ne va,non si sa se soddisfatto, ma certo senza pagare il conto che nel parapiglia nessuno ha osato portargli. (…)

«Nelle 116 relazioni sociali e istituzionali » si legge nel capo d’incolpazione «il magistrato non utilizza la sua qualifica al fine di trarne vantaggi personali» e comunque «non si serve del suo ruolo per ottenere benefici o privilegi». Elementare. Avremmo capito e condiviso un’azione energica se il pasto fosse stato seguito da una notte in bianco, da mal di pancia o da vomito. (…) Le analisi successive compiute dai carabinieri con l’aiuto di un veterinario dell’Asl hanno dimostrato che il pesce «era stantio ma sicuramente commestibile» e in ogni caso non aveva subìto processi di congelazione.(…) Il magistrato però dà un’altra versione (…): è stato il ristoratore, quando lui si è lamentato, a rispondere «in modo sgarbato e incivile, tenendo un atteggiamento arrogante». A questo punto, MattiaF. si è trasformato in paladino della collettività ferita e umiliata, si è preoccupato per la salute dei futuri clienti, ha chiamato il 112 con il cellulare e ha dato il via non a un’azione di rappresaglia, come potrebbe sembrare a chiunque, ma a un intervento delle forze dell’ordine a tutela del bene comune. Addirittura. Mah! E il conto? Ovvio, non l’ha saldato perché non ha mangiato. E nessuno in ogni caso gliel’ha chiesto. (…) Aveva ragione Mattia F., almeno a sentire il Tribunale dei giudici. Che cita la Cassazione: «La legittimazione a sollecitare l’intervento delle forze dell’ordine, sia per far constatare l’avvenuta commissione di illeciti sia per ricercare una bonaria composizione… spetta certamente al magistrato come a qualsiasi cittadino». (…) Il 29 gennaio 2007 Mattia F. viene assolto. Stefano Zurlo

“TOGHE SCATENATE”, pagine di in-giustizia quotidianaultima modifica: 2011-03-05T11:02:00+01:00da aldo251246
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