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Un ex cuoco affiliato <<in prova>> svela gli imprenditori prestanome
Angelo La Manna lavorava in un locale di mafiosi: ha fornito la mappa degli affari
Figlio di un personaggio appartenente alla cosca della Noce, La Manna viveva a Carini ed era vicino ad Angelo Antonio Pipitone, ritenuto il capofamiglia.
Articolo tratto dal Giornale di Sicilia di Giovedì 07.05.2009 pag.4
di Leopoldo Gargano
PALERMO. L’ex cuoco ha indicato gli imprenditori che riciclano il de naro di Cosa nostra e poi sono venuti gli altri pentiti. Dall’infor matica, alle villette, ai trasporti, una ragnatela di prestanome controllata secondo l’accusa dalla cosca di Carini, alleata di ferro del clan Lo Piccolo.
Angelo La Manna, 36 anni, ex impie gato di un ristorante di Carini, (anche questo gestito da un ma fioso) ha fornito per primo la mappa degli affari.
IL BOSS GLI DISSE: ORA SE SBAGLI SEI MORTO. COLLABORA DAL 2005
Figlio di un personaggio ritenuto affiliato al la cosca della Noce, La Manna abitava a Carini ed era molto vi cino al presunto capofamiglia, Angelo Antonino Pipitone, det to zu Ninu, nel cui locale lavora va in cucina. Venne affiliato «in prova» durante una cena al Johnny Walker, storico locale al lo svincolo autostradale del pae se e zu Ninu gli disse: «Adesso se sbagli sei morto».
Dalla fine del 2005 anni collabora con la giustizia e le sue dichiarazioni sono state utilizzate dalla Guardia di finanza e dalla sezione misure di prevenzione del tribunale (presidente Cesare Vincenti, giudici Emilio Alparone, Fabio Licata, Guglielmo Nicastro e Daniela Vascellaro) per aprire la cassaforte della cosca. Conteneva un tesoro da 300 milioni di euro, tra imprese, negozi e conti correnti.
Il pentito ha fatto il nome di Giorgio Iaquinoto, 54 anni, al quale per l’accusa è riconducibile un’azienda sequestrata la «Giellei electro trading srl» che opera nel settore informatico. Secondo La Manna, Iaquinoto «è persona che metteva nei negozi i soldi di Cosa nostra». L’imprenditore è sotto processo per riciclaggio aggravato, la Procura ha chiesto per lui una condanna a 6 anni.
Altro imprenditore tirato in ballo da La Manna è Vincenzo Curulli, 50 anni, titolare della «Ellei Trasporti».
È legato al presunto boss di Torretta Nino Di Maggio, secondo il collaboratore, e si sarebbe prestato a far girare denaro della famiglia di Carini in alcuni conti correnti che gestisce. Anche lui sotto processo, l’accusa ha chiesto 6 anni di reclusione.
Secondo il collaboratore è un prestanome di Nino Pipitone.
Vicino a Pipitone, sempre secondo le accuse di La Manna, anche il costruttore Lorenzo Altadonna che stava per realizzare nei pressi di Villagrazia di Carini un albergo di lusso e diverse palazzine. Sotto processo per concorso esterno e riciclaggio aggravato, l’accusa ha chiesto per lui 11 anni carcere.
La Manna ha fatto il nome di un altro imprenditore edile che sarebbe stato egato a filo dop-pio con Cosa nostra: Giovanni Cataldo.
La sua è una storia tragica. Si è suicidato in cella nel febbraio dello scorso anno, dopo un anno di reclusione.
Era ritenuto dagli inquirenti il costruttore di fiducia dei boss, colui che investiva nel mattone i soldi della cosca. Non ha fatto in tempo a difendersi da queste accuse, si è ucciso dopo l’arresto e il sequestro della sua ditta che aveva sede sulla strada provinciale.
Sul suo conto aveva detto: «Cataldo lavora investendo i soldi di Nino Pipitone.Tutte le costruzioni di complessi di villini a Carini sono di Pipitone. Lo sono, in particolare, le costruzioni effettuate da Giovanni Cataldo, che utilizza il denaro della famiglia di Carini e di Pipitone in particolare».
Edilizia, trasporti e commercio, secondo l’accusa, sono sotto il controllo delle cosche. Per i magistrati della Dda, la zona di Carini, dove nel più recente passato sono state avviate lottizzazioni e costruzioni di centinaia di villette, ha rappresentato per le «famiglie» una grande fonte di reddito.
Un discorso a parte merita Angelo Gallina, 66 anni, detto zu Ancilu o Angelo di Cola nato a Carini e con parenti negli Stati Uniti.
Che non lo hanno agevolato. Proprio un suo cugino americano, Giovanni Gallina, protetto da agenti Fbi, lo ha indicato come «uno degli adepti – scrivono i giudici della sezione misure di prevenzione – della famiglia di Villagrazia di Carini».
Solo che non faceva parte del gruppo vincente, quello cioè dei Pipitone, bensì del clan avverso, che faceva capo a Battistone Passalacqua e appunto dei Gallina.
Un attrito sorto proprio per la gestione di appalti e messe a posto, che rischiava di degenerare in una guerra aperta. Per evitarla Salvatore Lo Piccolo convocò un summit pacificatore ed i rancori vennero messi da parte. E si tornò a parlare di affari. Tanto che Gallina, secondo l’accusa, proprio assieme a Vincenzo e Giovan Battista Pipitone avrebbe trasferito a Lorenzo Altadonna denaro e altri beni. A zu Ancilu, i giudici hanno sequestrato un’impresa edile individuale.
E poi c’è Gioacchino Sapienza, solo a lui è stato bloccato un patrimonio da 110 milioni: quattro aziende, diciotto immobili (tra i quali un lido balneare a Capaci) e diverse fuoriserie.
Di lui ha parlato il collaboratore Gaspare Pulizzi.
«Faceva trasporto di merci, io ci ho lavorato per tanti anni – ha detto -, Sapienza è compare di Nino Pipitone e ha cresimato un figlio a Giovanni Pipitone, dal quale aveva affittato un capannone Tnt. La discoteca Movida (che non è stata sequestrata ndr di Villagrazia di Carini è pure sua – ha detto Pulizzi – ma in realtà solo a metà. L’altro cinquanta per cento apparteneva a Giovanni e Enzo Pipitone, Nino Di Maggio e Salvatore Lo Piccolo».
Leopoldo Gargano