Condannato, Manenti si dimette. Russo: «Un gesto encomiabile»

 

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Fonte immagine www.90011.it

SANITA’. II manager guidava l’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, sarà sostituito da un commissario regionale

PALERMO

Tratto dal Giornale di Sicilia

26 maggio 2009

di Delia Parrinello

Dimesso e sostituito da un commissario Giancarlo Ma nenti, l’ex direttore dell’ospe dale San Giovanni Di Dio che – secondo la condanna di primo grado del Tribunale di Palermo – ha causato un danno di 34 mi lioni alle casse della sanità pub blica in favore di quella privata. Ieri l’ex manager ha rimesso il mandato all’assessore alla Sani tà Massimo Russo e, malgrado l’agitazione politica e l’azzera mento della giunta, dagli uffici dell’assessorato arriva la con ferma che nel giro di un paio di giorni sarà nominato un com missario. Resterà in carica fino al primo settembre e poi lasce rà il posto al nuovo manager. Dirigente sanitario di lungo cor so e grande navigatore nel mon do delle Ausl siciliane, pensio nato della Regione, Giancarlo Manenti ha assunto l’incarico al San Giovanni Di Dio nel maggio 2005.

Ancora prima era alla guida del complesso ospedalie­ro palermitano di Villa Sofia. E ancora prima alla direzione ge­nerale dell’Aus 16, la più grande d’Italia. Lascia Agrigento sotto il peso di una condanna per re­sponsabilità che risalgono al 2002, quando una sua delibera avrebbe consentito enormi rimborsi alle cliniche di Baghe­ria appartenenti a Michele Aiel­lo, l’ingegnere imprenditore considerato il prestanome di Bernardo Provenzano. Con­danna arrivata la settimana scorsa: quattro anni e sei mesi per abuso d’ufficio a Manenti insieme all’ex responsabile del distretto sanitario di Bagheria della stessa Ausl 6, Lorenzo lan­nì, e insieme all’imprenditore Michele Aiello. Tutti condanna­ti anche al risarcimento dei danni alla Regione. Il collegio presieduto da Cesare Vincenzi ha disposto una provvisionale immediatamente esecutiva di dieci milioni che i tre dovranno pagare in solido. Il danno pro­curato alla Regione dal presun­to abuso d’ufficio commesso da Manenti e Iannì in favore di Aiello è stato quantificato in 34 milioni ma nel complesso am­monterebbe a oltre 80, come accertato nel processo “Talpe alla Dda”.

Le dimissioni di Manenti so­no state sollecitate dal consi­gliere comunale di Agrigento Giuseppe Arnone, esponente ambientalista, che «pur nel ri­spetto della presunzione di in­nocenza dei condannati in pri­mo grado» le ha apprezzate: «Una scelta dignitosa e civile per restituire credibilità alla ge­stione della sanità». Contattato telefonicamente l’ex manager ha detto che il suo gesto è con­sequenziale alla condanna. Lo stesso assessore Russo lo ha rin­graziato per le dimissioni, «ge­sto encomiabile, gli auguro di dimostrare la sua estraneità ai fatti».

Ma per Manenti i guai giudiziari non finiscono qui: il suo nome risulta tra gli indaga­ti nel procedimento per il ce­mento depotenziato all’ospe­dale di contrada Consolida e quindi ad Agrigento dovrà tor­nare per difendersi.

DELIA PARRINELLO

Ha collaborato Paolo Pico­ne

Rassegna stampa

PALERMO, IL MARESCIALLO ARRESTATO ACCUSA

«Quattro magistrati frequentavano il re delle cliniche»

CORRIERE DELLA SERA.it

16 gennaio 2005

Archivio

http://archiviostorico.corriere.it/2005/gennaio/16/Quattro_magistrati_frequentavano_delle_cliniche_co_9_050116056.shtml

PALERMO – Si difende come può, parlando con voce tremante e tono dimesso. I ricordi non sono lucidi, c’ è qualche vuoto di memoria di troppo e va spesso in apnea. Ma respinge con tutta la forza che può tirar fuori l’ immagine che gli hanno cucito addosso dopo averlo sbattuto in galera. Lo hanno chiamato «mostro»,«traditore». Ed ora che può esternare pubblicamente in un’ aula giudiziaria, il maresciallo della Dia Giuseppe Ciuro (il più stretto collaboratore del magistrato della Procura Antonio Ingroia), lo 007 di tante indagini antimafia reagisce e attacca. Con umiltà, piegato dalla lunga detenzione, chiedendo perdono ai magistrati per averli messi in difficoltà. Parole commosse che fanno piangere la moglie, accucciata in fondo all’ aula. Da quattordici mesi Giuseppe Ciuro è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di notizie riservate. Un’ accusa tremenda che il sottufficiale vuole a tutti i costi scrollarsi di dosso. «Io sono in cella e la talpa, la vera talpa, forse è in vacanza». Il riferimento è all’ informatore che passava al re della sanità siciliana Michele Aiello informazioni sulle indagini a suo carico. Informazioni segretissime. Le intercettazioni indicherebbero Ciuro, il contesto è pesante ma lui di quel che ribolle nel pentolone dei sospetti, ammette solo una cosa: l’ amicizia con l’ imprenditore di Bagheria, «persona che mai e poi mai avrei potuto pensare che fosse quel mafioso che oggi si dice». È il giorno del controesame, si procede con il rito abbreviato e i pm del processo martellano il maresciallo sui temi più caldi dell’ inchiesta: i suoi strani rapporti con il Sismi, le sue misteriose telefonate ad Aiello, le sue confidenze su indagini top secret. Ciuro insiste sulla sua lealtà: «Quel che mi mortifica di più è l’ accusa di concorso in associazione mafiosa perché è del tutto estranea alla mia storia personale. Avrò commesso qualche imprudenza, ma ho fatto sempre tutto in buona fede». Di Michele Aiello dice: «Lo conoscevo come un buon professionista e come persona corretta. E non ero il solo. Mi spiace doverlo evidenziare, lo conoscevano anche i sostituti della direzione distrettuale antimafia di Palermo. Lo incontravano, lo ricevevano, gli facevano effettuare opere. Mi sentivo confortato dal loro atteggiamento fiducia nei suoi confronti. I nomi: il procuratore di Termini Alberto Di Pisa, il dottor Paolo Giudici, che si fece ristrutturare la casa, il dottor Teresi, quando si ruppe una spalla, il dottor Ingroia, che riceveva Aiello nel suo ufficio e una volta siamo andati insieme a prendere il caffè». Lo dice scusandosi, rivolgendo infine al giudice Fasciana un appello alla clemenza: «Sono nato e cresciuto in un quartiere dove la cultura della legalità era ignorata. Ma l’ educazione che ho avuto dai miei genitori hanno determinato in me una profonda avversione per la violenza e le sopraffazioni. Ho cercato di aiutare un amico che ritenevo una persona perbene e mi hanno accusato di tradimento».

L’ inchiesta sulle «talpe»

di Enzo Mignosi

GLI ARRESTI Il 5 novembre 2003 vengono arrestati i marescialli Giuseppe Ciuro (Dia) e Giorgio Riolo (Ros). Sono accusati di aver passato informazioni riservate ai boss di Cosa Nostra. Sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. In carcere era finito anche Michele Aiello, re delle cliniche siciliane, sospettato di coprire la latitanza di Bernardo Provenzano IL PRESIDENTE Rinviato a giudizio per associazione mafiosa, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ ufficio anche il presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro

 Mignosi Enzo Pagina 14
(16 gennaio 2005) –
Corriere della Sera

 

 

 


 


 

Condannato, Manenti si dimette. Russo: «Un gesto encomiabile»ultima modifica: 2009-05-27T12:16:00+02:00da aldo251246
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