Cricche & Giudici. “La lunga stagione dei veleni: da Palermo a Reggio Calabria”

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RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO

Una corposa rassegna stampa sullo stato della Giustizia italiana soggetta a scosse dovute a frizioni, se  non a veri e propri scontri tra i big delle toghe antimafia. Nel frattempo i “cittadini utenti” di questa giustizia rimangono per anni incagliati tra denunce e inchieste arenate tra  scrivanie e carpette impolverate.

Ma lo Stato, se c’era,  dov’era?

Buona lettura

 

KLICCA Assoluzione piena per Cisterna. L’ex numero due della Dna è stato completamente scagionato dall’accusa di calunnia formulata dalla Procura di Reggio

KLICCA REGGIO CALABRIA. «Condannate Cisterna». Due anni di reclusione perché colpevole del reato di calunnia. «Vittima di un’ingiustizia enorme»

 “La lunga stagione dei veleni: da Palermo a Reggio Calabria”

http://web.calabriaora.it

Di  

1 settembre 2011

La notizia è semplice e devastante: il numero due dell’antimafia nazionale, Alberto Cisterna, e l’attuale procuratore della Corte d’appello di Ancona, Vincenzo Macrì, hanno querelato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Michele Prestipino.

L’accusa? Diffamazione.

Nel corso di una cena a Milano, Prestipino avrebbe parlato di una “cricca” di magistrati capeggiati da Macrì e Cisterna che avrebbe favorito il dominio della ’ndrangheta nel territorio calabrese.

di Pier Paolo Cambareri

C’era una volta il “Caso Palermo”. Che ora non c’è più. Perché cambiano (in parte) luoghi, fatti, persone. Restano identici, però, i veleni.

E le accuse reciproche.

 E i sospetti. E le cose dette e non dette. Non sono poi così dissimili, oggi, le dinamiche che intorbidiscono il clima negli uffici giudiziari reggini da quelle che si registravano venti o trent’anni fa nel capoluogo siciliano. Da Palermo e Reggio Calabria l’unica distanza oggettiva – incontrovertibile – è quella geografica. Che si può misurare in chilometri.

Altre dissonanze, per ora, non se ne avvertono. Perché le tensioni intra-moenia (quelle che si registrano dentro i palazzi del potere giudiziario) non cambiano
dalla trinacria all’enotria. 
Non è semplice risalire alle origini del conflitto istituzionale che rischia di minare – rovinandola – l’immagine di magistrati chiamati a condurre la lotta contro la criminalità organizzata calabrese. Né fornire una corretta chiave di lettura al “conflitto a carattere personale” che vede contrapposti uomini dello Stato cui la collettività affida (fiduciosa…) la propria istanza di giustizia. Ma è fin troppo facile cristallizzare il presente. Che non potrebbe essere più cristallino di quanto già non appaia, o non lo sia. I protagonisti della nuova querelle che desta scandalo nell’opinione pubblica non sono nuovi a sovraesposizioni mediatiche: provengono dalla terra di Trinacria, la Sicilia dove bianco e nero spesso si intersecano alla stessa stregua di quanto avviene in Calabria, l’antica Enotria che diede nome all’Italia. Giuseppe Pignatone arriva in Calabria – ai piani alti del Cedir di Reggio Calabria – nel 2008.

Sospinto dai venti di gloria che gli derivano dalla conduzione di inchieste scottanti e delicatissime che costeranno la galera tanto ai mammasantissima di Cosa nostra (leggi Bernardo Provenzano) quanto ad uomini delle istituzioni che sembravano intoccabili (Totò Cuffaro, già presidente della Regione)un pesante fardello. Ma si porta dietro, anche, il fardello pesantissimo dei postumi dolorosissimi di polemiche e accuse da cui sarà costretto a difendersi tanto nel Csm quanto negli ambienti giudiziari che lo guarderanno con sospetto dopo la pubblicazione del diario segreto diGiovanni Falcone. Era amico, Pignatone, del “nemico pubblico numero uno” della mafia. Ma era anche amico di Piero GiammancoChe di Falcone e Paolo Borsellino era il capo.

 Quando, dopo le stragi del ’92, otto pm della Procura di Palermo vergarono un documento di sfiducia contro Giammanco (accusato di avere tenuto sempre ai margini, “mollato” – si disse – i due paladini dell’antimafia), fece storcere il naso a molti la mancanza delle firme in calce al documento di due magistrati che, con Falcone e Borsellino, avevano condiviso un percorso comune: Giuseppe Pignatone, appunto, e Guido Lo Forte. Si schierarono con il capo della Procura di Palermo. E “certificarono” questa scelta facendo mancare la propria firma al documento. Una decisione legata a motivi di carattere professionale e personale rispetto ai quali è opportuno pronunciare semplicemente il nulla quaestio. Ma una decisione che verrà “contestata” qualche tempo dopo, quando verranno pubblicati i diari di Falcone dai quali traspariva lo sconcerto del magistrato per l’isolamento che avvertiva attorno a sé. Sull’attuale capo della Procura di Reggio, Falcone non esprimeva parole lusinghiere. Una rivelazione che costrinse lo stesso Pignatone a doversi difendere pubblicamente. E a dichiarare come la mafia avesse in progetto attentati contro di lui e come, proprio lui e Lo Forte, avessero sottoscritto una memoria a difesa di Falcone, quando il sindaco Leoluca Orlando accusava il pm del pool antimafia di “tenere le inchieste chiuse nei cassetti”.

 qualche frase di troppo

Polemiche su polemiche, dunque. Ieri come oggi. Sulla base di fatti e “contestazioni” differenti. Pignatone non è stato querelato da Alberto Cisterna, il numero due della Direzione nazionale antimafia. Che contro Michele Prestipino, invece, ha puntato l’indice. L’attuale procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria è siciliano. Nato a Roma. Ma siciliano di origini, e di formazione professionale. Anche lui è arrivato nel 2008. E proprio lui avrebbe usato parole non certo felici nei confronti di Cisterna e Vincenzo Macrì, attuale procuratore capo di Ancona, già numero due della Direzione nazionale antimafia.

Chi è Prestipino? Un magistrato noto, legatissimo a Giuseppe Pignatone con il quale ha condiviso (a Palermo) le indagini costate la prigione a Totò Cuffaro e quelle che hanno condotto alla cattura dei massimi esponenti di Cosa nostra siciliana. Un vero big dell’antimafia. Ma la persona, anche, che nel corso di una cena milanese a dicembre del 2010 avrebbe pronunciato frasi diffamatorie e altamente lesive della dignità di Alberto Cisterna e Vincenzo Macrì, apostrofati quali componenti di una presunta “cricca” che si sarebbe prodigata per assicurare alla ’ndrangheta piena libertà di azione. Non vi sono tracce di polemiche innescate sull’azione di Michele Prestipino. Ma le vicende odierne, che lo vedono al centro della bufera mediatica innescata dalla denuncia di Cisterna, potrebbero frenarne il percorso di crescita professionale, visto che sarà chiamato a fornire chiarimenti sulle frasi che si sarebbe lasciato sfuggire durante la cena alla quale avrebbe preso parte anche il procuratore Pignatone.

Pier Paolo Cambareri

http://web.calabriaora.it/politica/7662-la-lunga-stagione-dei-veleni-da-palermo-a-reggio-calabria.html

Cisterna denuncia Prestipino

 

La Procura di Reggio Calabria nella bufera. Si è scatenata una vera e propria guerra tra giudici che sta avvelenando il clima e trascina a fondo il prestigio della magistratura. Una domanda semplice semplice: cosa aspetta il Csm (Consiglio superiore della Magistratura) ad intervenire? Il Csm è l’organo di autogoverno della magistratura: a voi non sembra che la crisi di Reggio Calabria meriti l’intervento di chi ha come compito il governo della magistratura? Riassumiamo la vicenda. In tre atti. Primo atto: un pentito di mafia – considerato non molto attendibile – un certo Nino Lo Giudice, in dicembre, getta ombre su alcuni dei più importanti magistrati antimafia: il numero due dell’antimafia nazionale, Alberto Cisterna, e poi Francesco Mollace e Vincenzo Macrì. I tre smentiscono subito con buoni argomenti. Il Procuratore di Palermo, Pignatone, decide però di indagare ugualmente su Cisterna, il quale chiede di essere sentito per risolvere la questione e diradare le ombre…. 
 

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Di  

Consolato Minniti

La notizia è semplice e devastante: il numero due dell’antimafia nazionale, Alberto Cisterna, e l’attuale procuratore della Corte d’appello di Ancona, Vincenzo Macrì, hanno querelato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Michele Prestipino. L’accusa? Diffamazione. Nel corso di una cena a Milano, Prestipino avrebbe parlato di una “cricca” di magistrati capeggiati da Macrì e Cisterna che avrebbe favorito il dominio della ’ndrangheta nel territorio calabrese.

Se non è guerra aperta poco ci manca. La già abbondante sequenza di eventi che ha coinvolto i magistrati della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e quelli della Direzione nazionale antimafia si arricchisce di un altro capitolo. Stavolta, però, nessuna inchiesta, nessuna corruzione. Siamo al livello personale. Che è forse quello più delicato. Probabilmente si tratta di una sorta di punto di snodo di vari eventi che si sarebbero verificati negli ultimi mesi. La notizia è semplice quanto devastante: il procuratore aggiunto della Dna, Alberto Cisterna e l’attuale procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona, Vincenzo Macrì, hanno querelato (con due atti distinti) il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Michele Prestipino. L’accusa? Diffamazione. Sì, proprio il reato di diffamazione. Niente paura, stavolta i giornali non c’entrano. Sono fatti privati, certo, ma che potrebbero avere risvolti di non poco conto. Cosa è accaduto? Proviamo a capirlo andando a ripercorrere la vicenda secondo quanto denunciato dal procuratore Cisterna.
cena… diffamatoria?


È il 14 dicembre del 2010 ed il procuratore Prestipino si trova nella città di Milano per una missione d’ufficio. Concluso il lavoro, il magistrato partecipa ad una cena assieme ad altri colleghi. Si tratta del procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, del sostituto procuratore della Dna, Carlo Caponcello e del procuratore federale di Lugano, Pier Luigi Pasi. Il punto essenziale sta nelle dichiarazioni che Prestipino avrebbe fatto nel corso dell’incontro con i colleghi. Secondo la ricostruzione prospettata all’interno della querela sporta da Cisterna, infatti, Prestipino avrebbe parlato di una “cricca” di magistrati capeggiati da Vincenzo Macrì e di cui anche Cisterna avrebbe fatto parte. Tali magistrati avrebbero favorito il dominio della ’ndrangheta nel territorio calabrese perché collusi con tali organizzazioni criminali. Parole pesanti, dunque, quelle che l’aggiunto avrebbe (il condizionale è d’obbligo poiché si è ancora alla fase della sola denuncia e non vi sono verità processuali accertate) riferito agli altri colleghi. Ma per aver presentato querela, è chiaro che Alberto Cisterna è venuto a conoscenza di tali parole. Come è accaduto? Casualmente. Nel corso del periodo di ferie natalizie, infatti, il procuratore aggiunto della Dna ha chiesto a due dei presenti alla cena se quelle parole riferite da altri rispondessero a verità. E secondo quanto contenuto nella querela presentata, i due soggetti interpellati hanno confermato tutto. Ovviamente tra gli interpellati non c’è Pignatone, come è facile immaginare per evidenti rapporti personali con Cisterna, ma di Caponcello e Pasi. Ma c’è di più. Sempre secondo quanto riferito dal magistrato all’interno della sua querela, pare che proprio il dottor Caponcello, nel corso della conversazione abbia invitato più volte il procuratore Prestipino alla moderazione e che lo stesso sostituto alla Dna abbia poi esternato le proprie doglianze al procuratore Pignatone, soprattutto in virtù della presenza di un soggetto straniero con il quale Cisterna collaborava frequentemente. Insomma, una situazione estremamente delicata e che ora è pendente dinnanzi ai giudici di Milano. L’esito, ovviamente, non è ancora arrivato, ma un dato pare certo: per capire la veridicità di quanto contenuto nell’atto di querela bisognerà ascoltare le testimonianze di coloro che quella sera a Milano erano presenti e dovrebbero aver sentito con le loro orecchie quelle frasi pesanti che sarebbero state pronunciate. Con tutta probabilità anche il procuratore Pignatone, oltre a Caponcello e Pasi, potrebbe essere sentito per capire la sua versione dei fatti.

uno scontro diretto


Intanto pare che all’interno dell’atto con cui Cisterna ha querelato Prestipino ci sia spazio anche per delle considerazioni molto dure del magistrato nei confronti del collega. Cisterna avrebbe parlato addirittura di parole “raggelanti” e dalla gravità assoluta nei riguardi di un magistrato col quale non ci sarebbe un così profondo rapporto di conoscenza. Una ricostruzione a giudizio del procuratore aggiunto della Dna che vedrebbe fatti penalmente rilevanti. Toccherà adesso ai giudici milanesi capire cosa sia successo la sera del 14 dicembre 2010 nel capoluogo lombardo. Se la prospettazione offerta da Cisterna corrisponda al vero o se, piuttosto, qualcosa di diverso sia accaduto durante la cena tra magistrati. Di certo c’è un dato: ormai è una battaglia senza esclusione di colpi. Fino ad ora erano state le inchieste a farla da padroni. Adesso c’è anche la “carta bollata” l’uno contro l’altro. Con buona pace di chi pensava che le frizioni potessero essere ricomposte magari in breve tempo. Ed invece la possibilità che questa faccenda lasci degli strascichi giudiziari e disciplinari si fa sempre più concreta, in un clima che, giova ricordarlo, non fa per nulla bene ad uno Stato, inteso nel suo complesso di persone e funzioni, impegnato nella lotta alla più potente mafia del mondo.

Consolato Minniti

http://web.calabriaora.it/cronaca/7642-cisterna-denuncia-prestipino.html

 

Gratteri: «Non c’è volontà di combattere le mafie»

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Di 

 

«In questo momento, non c’è la volontà politica di abbattere le mafie: lo Stato è colpevole, sono decenni che è latitante». È l’accusa che lancia Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, nel corso di un’intervista a Radio Vaticana, in seguito alle intimidazioni subite da don Giuseppe Campisano, parroco di San Rocco a Gioiosa Ionica.

«Le mafie hanno dimostrato di essere più efficienti dello Stato, ad esempio quando risolvono in breve tempo un contenzioso mentre la macchina giudiziaria ci mette anche quindici anni – osserva Gratteri – Occorrerebbe un sistema giudiziario più efficiente, proporzionato alla realtà criminale attuale; un sistema giudiziario talmente forte che non sia conveniente delinquere». Ma «purtroppo, nella Locride come in altre parti d’Italia, ci sono molti laureati, medici, ingegneri, avvocati, che sotto il tavolo hanno la pistola, che sono a servizio della ‘ndrangheta. E questo è difficile dimostrarlo dal punto di vista tecnico-giuridico, perchè è difficile incastrare il mandante di un delitto: questi ordinano di uccidere con un sorriso, con un gesto della mano. Occorrono leggi nuove, diverse». Continua Gratteri: «Soprattutto in Calabria, è molto forte la commistione tra la borghesia dei salotti buoni e la ‘ndrangheta, al punto che ormai è difficile distinguerli. Sono un tutt’uno». Riguardo poi al caso specifico dell’agguato a don Campisano, «leggendo la dinamica dei fatti, ritengo che sia stato solo un avvertimento. Ma un serio avvertimento». Infine, un riferimento alla Chiesa. «A Locri – conclude Gratteri – c’è un vescovo che ci sta abituando a sentire parlar chiaro e forte contro la ‘ndrangheta; fortunatamente, c’è un risveglio di tutta la chiesa locale».

Cricche & Giudici. “La lunga stagione dei veleni: da Palermo a Reggio Calabria”ultima modifica: 2011-09-02T23:41:00+02:00da aldo251246
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