Devoto omaggio alle LL.MM. Elena e Vittorio Emanuele III

A cura del prof. Gennaro Surdi
Tip. Puccio – Calogero Sciarrino – Palermo

PAROLE dette il 19.Maggio.1908 dal Prof. GENNARO SURDI per la ricorrenza dell’anniversario della venuta dei SOVRANI in USTICA

stenografa
Sig.na Malta Giovannina

Signori,
Vi ringrazio – anzitutto – del gradito invito fattomi e che io lietamente accettai, perchè esso in me ridestò dolcemente – da tempo assopite per la lontananza dal luogo – le graziose voglie nostalgiche della terra nativa: il verde cupo degli alberi e le onde glauche di questo mare che lambisce la riva centenaria, siccome il bacio alimentatore della speranza!
Si, i ricordi infantili – confusi nel tempo – di questo inclito, glorioso mare nostro, che trasportò, sulla sua iridiscente schiena, quanto di più magnifico abbia avuto la storia di tutto il mondo: il genio greco e la civiltà latina; e sulle cui orme – più tardi – passò, superbo e vittorioso, il grande genovese, scopritore del nuovo mondo!

Voi non aspetterete da me – col mio dire affrettato ed incolore – un grande discorso, perchè grande è in me la commozione del momento, ed infinita la riconoscenza che nell’anima mi tumultua, per esservi ricordati – assai benignamente – del vostro concittadino lontano.
Oggi siamo qui convenuti per solennizzare un caro ricordo, che le leggi inesorabili del tempo non varranno a cancellare dai più profondi penetrali del nostro cuore, dov’esso sta come, tenacemente, scolpito. Il culto delle grandi e generose memorie è perenne alimento alla vita dei popoli; ed è perciò santo e bello il compito di alimentarlo – con rinnovata effusione – perché esso concorre, mirabilmente, alla educazione della psiche e del carattere di un popolo.
Cosa maravigliosa: la sensibilità del cuore di un popolo è potentissimo elemento del suo progresso; la quantità di civilizzazione si misura dalla esuberanza del cuore e dell’anima. L’idolatria esclusiva d’un popolo, nell’idolo o nei commerci, atrofizza il muscolo che cammina e la volontà che va, impicciolisce il suo orizzonte abbassandone il livello. Babilonia non ha un ideale, Cartagine nemmeno, Atene e Roma hanno e custodiscono aureole di civilizzazione attraverso tutta la tenebrosa densità dei secoli!
Proprio così: lo afferma V. Ugo, il più grande umanista e filosofo della Francia.
I popoli – adunque – hanno bisogno d’innaffiarsi di entusiasmo fecondo di fede.
Ebbene; rinvanghiamo nella nostra memoria, solcata di fulmini: oh! quante speranze allora si credettero infrante, quante ambascie, quante lacrime!
Ricordiamo: nel mite aprile, dell’anno passato – nella rinascente primavera – quando i campi vigorosi e promettitori – per un’alacre e pingue cultura – tenevano lieto e giocondo l’animo di quest’Isola: quando il. sole, del mese di aprile fecondo si posava quasi a indorare il verde dei campi – plasmando i monti come scolpiti ed intagliati nell’ azzurro – un tremoto la scosse, con furia energumena , minacciando di muoverla ab imis.
E fu un momento di terrore e di panico, che strinse il cuore di tutti, panico reso maggiore dall’imparità della lotta con un avversario bieco, misterioso e formidahile. Ma – o dolcezza carezzevole di ricordo – in mancanza di possibili, immediati rimedi, sopperiva la magnifica, la sublime solidarietà umana confortatrice! Ed il grido di dolore non rimase inascoltato: da ogni parte pervennero, a questa terra – tocca dall’ ala della sventura, – zampillanti, fede ed entusiasmo, prove luminose di affetto e di amicizia; non pure da Palermo cui siamo legati da vincoli di origine, ma ben’anco da Roma.
Dalla grande inclita Roma, un Re moderno per istinti e per coscienza, accorse, premuroso e commosso, a molcere il nostro dolore con la sua augusta presenza.
Il Campidoglio, millennario e glorioso, sfolgorò la balsamica e magnifica luce di pietà fraterna , generosa ed augusta. E la bianca regale nave pervenne, senza pompe ed inaspettata, a queste frastagliate solitarie coste, a confortare, di sua presenza, tutt’un popolo esterrefatto per una implacabile rabbia tellurica.
A intadiare lo slancio magnanimo, come classico Sol dell’Ellade, la nostra graziosa Sovrana, Elena di Montenegro, – quale angelo consolatore – comparve fra le belle isolane, che cosparsero di olezzanti fiori, il Suo cammino.
Il Suo nobile, gentil sorriso, con la più dolce espressione del sentimento della carità cristiana, allietò e schiuse alla speranza l’animo depresso di queste vaghe, candide fanciulle, vittime del terrore.
Di questa solenne manifestazione umana ne rimane il perenne ricordo su questa lapide che resta incastonata al muro di questa casa del popolo.
Quest’atto, spontaneo e sincero, commosse quanti lo appresero e dimostrò ancora una volta, che un Principe di Casa Savoia è capace, non solamente, di stare impavido sul fronte degli eserciti, sui campi di battaglia, – per la conquista del diritto, – ma di sapere esercitare la profumata e fortificante religione delle virtù civili. La Casa Savoia – dico – che compendia in sè tutto il gentil sangue latino: dalle glorie mietute sui campi di battaglia, all’ aureola benefica, sulle pianure della sventura e del dolore!
Signori, non è adulazione cesarea, ma fiore aulente di gratitudine. Un atto di tale altezza e di tanta grandezza supera – non v’è nessuno che non lo vegga – qualunque gesto politico che la- scia dietro a sè strepitoso scalpore. Di questa Sovrana magnanimità, il popolo mite e laborioso di quest’amena isoletta, galleggiante nelle verdi acque di questo mare promettitore, serba grato, grazioso ricordo. Perciò, esso, oggi, si è riunito – multanime ed uno – per rievocarlo alla memoria ed infonderlo, ancora più profondamente, nel proprio cuore: testimonianza indiscutibile di quella qualità, cui poco fa abbiamo accennato – e che dà la misura del valore di nostra gente.
Scampati, appena da un quarantennio, alle nere ribadite catene della servitù, noi, con mirabile storica evoluzione, ci siamo serviti della libertà politica come strumento sorprendente d’ogni progresso; tutto questo, nelle sue più intime sfumature, nelle sue linee generali, à contribuito anche a determinare la libertà del cuore!
Diciamolo francamente: un atto simile – in epoche non lontane – non sarebbe stato possibile, quando la vita di coloro, che presiedono ai destini della Patria, era rinserrata, anche nelle spontanee manifestazioni, nel cerchio di ferro delle consuetudini secolari e del pregiudizio.
Noi, adunque, dobbiamo questo grande avvenimento, che non trova riscontro nel passato alla grandezza dell’anima d’un Monarca esuberante d’affetto, e alla libertà che da tempo irrora un poco tutto e tutti!
Rendiamo, – o Signori, – vive grazie al nostro Re che di tanto è stato capace: questo popolo, con solenne, plebiscitaria manifestazione, a Lui mostra la sua perenne gratitudine, e rivolge fiso e tenace l’occhio vigile alla libertà, a questa grande Dea, nel cui grembo, d’altronde, nacque e si alimentò la fortunata e provvida stella Sabauda. Il che dimostra che, anche sotto le istituzioni monarchiche – liberamente e civilmente intese – può germogliare e svilupparsi il principio altissimo della libertà e fiorire – purpureo, – il rosaio del sentimento e dell’umana solidarietà.
E quando questo incrocio benefico non manca ad un popolo, esso non si fermerà a mezza via, nè imboccherà le vie di Babilonia, ma procederà certo e securo, nella via bianca e luminosa del progresso civile!

Ustica, 19 maggio 1907.

Klicca qui per leggere il documento in originale conservato dal nipote Balassare Bonura

Devoto omaggio alle LL.MM. Elena e Vittorio Emanuele IIIultima modifica: 2007-08-09T10:06:00+02:00da aldo251246
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