Pino Lipari. “Gestiva ancora gli affari di Provenzano”

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tratto dal Giornale di Sicilia del 20.09.2007

Palermo. L’accusa: Libero dopo avere scontato la condanna per mafia, l’ex impiegato dell’Anas voleva vendere a Carini un terreno edificabile di “Binnu”. Sequestrato un appartamento in via Aquileia

PALERMO. Torna in carcere il più sospettabile degli amici di Bernardo Provenzano. I poliziotti della squadra mobile hanno arrestato il geometra Pino Lipari, 72 anni, impiegato dell’Anas in pensione e storico riciclatore del superboss di Cosa nostra. Nonostante le indagini ed i sequestri che in questi anni lo hanno colpito a ripetizione, gli inquirenti sono riusciti a scovare altri beni che Lipari secondo l’accusa era riuscito ad occultare. Si tratta di un terreno edificabile in contrada Piraineto a Carini per un valore di due milioni e mezzo di euro e l’appartamento di via Aquileia 5 a Palermo dove lui è residente. Entrambi sono stati bloccati su richiesta dei pm Marzia Sabella e Michele Prestipino, titolari dell’inchiesta, mentre l’ordine di custodia e il sequestro dei beni sono stati firmati dal gip Antonella Consiglio.

Lipari è al quarto arresto per associazione mafiosa, il suo nome compare in centinaia di atti giudiziari e la prima condanna per mafia risale al maxi processo. Nel corso degli anni ha avuto altre due sentenze definitive per mafia e nel frattempo sono stati arrestati anche la moglie, Marianna Impastato, la figlia, l’avvocatessa Cinzia Lipari (detenuta), il figlio Arturo, e i due generi Lorenzo Agosta (subito scarcerato) e Giuseppe Lampiasi.

Nel suo lungo curriculum figurano anche un pentimento fasullo, organizzato per gestire meglio dal carcere i beni dei boss corleonesi e un’attività indefessa di occultamento e riciclaggio dei capitali sporchi di Cosa nostra. Il cassiere della mafia aveva finito di scontare l’ultima condanna lo scorso anno ed era uscito dal carcere 1113 aprile 2006, due giorni dopo il blitz della polizia a Corleone che pose termine alla pluridecennale latitanza di Bernardo Provenzano.

Non appena Lipari ha messo piede fuori dalla cella, gli investigatori della sezione criminalità organizzata della squadra mobile hanno iniziato a tenerlo d’occhio. Come si dice il lupo perde il pelo ma non il vizio e gli agenti avevano il fondato sospetto che il geometra tornasse ai vecchi affari. Così sono iniziate le intercettazioni telefoniche e ambientali e nel giro di pochi mesi è saltata fuori la sorpresa. Secondo la ricostruzione della procura il vecchio riciclatore stava per piazzare un nuovo colpo. La vendita del terreno di Carini sul quale doveva sorgere un residence. Un affare che avrebbe fruttato denaro a palate il cui destinatario secondo l’accusa era ancora una volta il superboss corleonese.

Come al solito Lipari formalmente non compare nell’affare, il terreno era in parte riconducibile all’ingegnere Giuseppe Montalbano al nome storico nelle indagini su Cosa nostra, anche lui in passato arrestato per associazione mafiosa, condannato in primo grado a sette anni e proprietario della villa di via Bernini dove Totò Riina ha trascorso la sua latitanza dorata.

Montalbano secondo l’accusa è al centro della rete di affari di Lipari.

Quando quest’ultimo iniziò ad avere i primi guai giudiziari proprio a Montalbano cedette alcuni beni con la formula della “dazione in pagamento”. In teoria Lipari sarebbe stato debitore nei confronti di Montalbano per un totale di 492 milioni di vecchie lire e come saldo del debito avrebbe ceduto il terreno di Carini e la casa di via Aquileia. Questo atto di trasferimento non è stato mai ritenuto credibile dalla procura. Per gli inquirenti era solo un trucco per sviare le indagini. Lo scopo era di intestare al Montalbano, agli inizi degli anni Novanta un perfetto incensurato, parte del patrimonio illecito dei corleonesi.

Adesso questi beni sono tornati di attualità. La squadra mobile ha intercettato alcune conversazioni tra Lipari e l’acquirente del terreno di Carini durante le quali si evince chi è il vero padrone del terreno. Nella vicenda è rimasta coinvolta anche una professionista, Maria Concetta Caldara, ex dirigente generale presso il ministero per gli Affari regionali dal 2001 al 2005, e attualmente esperto nominato dalla presidenza della Regione con un incarico a tempo. La professionista assieme alla sorella ha ricevuto dal padre, Vincenzo Caldara, in eredità la parte del terreno di Carini che non è stata sequestrata. La figlia di Caldara stando alla ricostruzione della procura è stata chiamata da Lipari dopo la scarcerazione e a lei cercò di imporre la partecipazione fittizia alla vendita e la successiva cessione del denaro allo stesso Lipari. Le microspie e le intercettazioni telefoniche realizzate dalla Squadra mobile hanno consentito di percepire il disagio della donna, che temeva – firmando un atto assieme a Montalbano e poi consegnando il denaro a Lipari – di essere coinvolta in affari e inchieste di mafia. Interrogata dai pm il 17maggio scorso in qualità di indagata per riciclaggio ha confermato questo suo stato d’animo ed ha respinto il sospetto di avere fatto affari con Lipari.Leopoldo Gargano

GLI ATTI DELL’INCHIESTA.

«Lipari era il regista occulto di una grossa speculazione edilizia»

«Il boss era pronto a intascare 2 milioni e mezzo»

di L.G.

Tratto dal Giornale di Sicilia del 20.09.2007

PALERMO. «Lipari è il regista di tutta l’operazione». Lo scrive il gip Antonella Consiglio nell’ordinanza di custodia che ha spedito di nuovo in cella il vecchio amico di Provenzano. L’obiettivo di Lipari era la vendita del terreno di contrada Piraineto al costruttore Giovanni Palazzolo che intendeva realizzarvi una serie di villette: metà del terreno, che in quella particella incriminata misurava circa 10 mila metri quadrati, era intestata alle eredi Caldara e l’altra metà è «non del titolare apparente Montalbano Giuseppe, ma proprio di Lipari Giuseppe». il prezzo totale di vendita era di circa due milioni e mezzo di euro e il geometra che seguiva l’operazione, Vincenzo Conigliaro, scrive il giudice Consiglio, «era incaricato proprio dal Lipari, al quale rendeva puntualmente conto del suo operato». Sulla questione era poi sorta una controversia tra gli eredi di Vincenzo Caldara, l’altro comproprietario del terreno di Carini e Lipari. Le sorelle Caldara non volevano stipulare un unico atto assieme a Montalbano, per timore dei suoi precedenti giudiziari. Ma la loro tesi, concludere la compravendita con atti separati, aveva suscitato diverse discussioni con Lipari, “che, invece – si legge nell’ordinanza – riteneva più redditizia e comunque più rassicurante per l’acquirente la vendita contestuale delle quote». Durante la trattativa, Lipari incassò 40 mila euro di acconto dall’acquirente. Si sentiva lui, cioè, il vero proprietario. Nel suo interrogatorio del maggio scorso, Maria Concetta Caldara riferì che in quella stessa circostanza “Lipari mi disse “ricordati che di questo terreno cinquemila metri sono miei”. Io – ha aggiunto – sul momento non dissi niente e peraltro devo dire che tutti questi colloqui sono stati piuttosto difficili per me, dato che ormai conosco le vicende processuali del Lipari e da 25 anni il nome della mia famiglia viene associato a queste vicende processuali”. Riguardo la compravendita del terreno precisò. “Per me è un problema fonte di gravissime preoccupazioni: la pretesa del Lipari, non solo perchè io non sono in grado di dire se tale pretesa sia fondata o meno, dato che non posso escludere che per qualche motivo mio padre a suo tempo comprò anche nell’interesse di Lipari. Da un altro lato – aveva proseguito la donna – non saprei come giustificare la corresponsione di denaro al Lipari, in mancanza di qualsiasi documento giustifìcativo. É chiaro comunque che io non darò mai del denaro al Lipari, che non risulti in modo formale». Ieri in serata Maria Concetta Caldara in una nota ha precisato che è stata sequestrata solo la quota di pertinenza di Lipari, mentre per quanto riguarda la proprietà dei Caldara non è stata alienata, nè utilizzata in alcun modo». Inoltre il terreno, sostiene, venne acquistato nel 1971 dal padre assieme a Lipari ma allora “non era immaginabile alcuna commissione dello stesso con la mafia”. La Caldara precisa che “la sua iscrizione sul registro degli indagati ha avuto solo un carattere esclusivamente tecnico” ed è certa “di avere chiarito tutti gli aspetti della vicenda”. L.G.

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