Ciancimino jr. consegna i memoriali del padre ai pm

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Il giovane don Vito Ciancimino

http://www.ecorav.it/arci/approfondimenti/scheda3/scheda3.htm

 

In Procura. Interrogatorio di oltre 2 ore

Tratto dal “Giornale di Sicilia” del 16 maggio 2008

di CR. G.

È durato oltre due ore e mezza ed è stato segretato il secondo interrogatorio in Procura di Massimo Ciancimino, ascoltato come indagato di reato connesso dai pubblici ministeri Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. Ciancimino, che era accompagnato dagli avvocati Roberto Mangano e Manuela Bontà, ha consegnato ai magistrati una serie di documenti, tra i quali alcuni memoriali del padre, l’ex sindaco Vito Ciancimino, morto nel novembre 2002 dopo avere subito una condanna per mafia e una per corruzione. Sui contenuti dell’interrogatorio dell’imprenditore, condannato a cinque anni e otto mesi, il 10 marzo dell’anno scorso, con l’accusa di riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione, non sono filtrati particolari.

L’indagine è una sorta di riedizione di «sistemi criminali», un accertamento che punta a verificare commistioni tra mafia, imprenditoria e politica con riferimento alle stragi del 1992. Ciancimino junior dovrà essere riascoltato ancora una volta: era stato già sentito a Caltanissetta, in febbraio, dopo avere rilasciato un’intervista al settimanale Panorama, in cui aveva parlato dei contatti che don Vito aveva avuto con i vertici del Ros a cavallo tra le due stragi del maggio e del luglio 1992, per cercare di propiziare la cattura di pericolosi latitanti di mafia, come Totò Riina e Bernardo Provenzano. Quest’ultimo sarebbe stato ricevuto più volte, «anche in pigiama», da Ciancimino padre. «Binu» avrebbe girato sotto la falsa identità del «geometra Loverde».CR. G.

SEGUE RASSEGNA STAMPA SU FATTI STORICI GIA’ NOTI

ANSA 19 novembre 2002

MORTO A ROMA VITO CIANCIMINO

Tratto da www.almanaccodeimisteri.info

L’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e’ morto nella sua abitazione a Roma, in via Salita Sebastianello 9. Ciancimino, che aveva 78 anni, e’ morto per cause naturali. Ciancimino era agli arresti domiciliari dopo essere stato condannato il 28 novembre 2001 a 13 anni di reclusione, con sentenza passata in giudicato, per associazione a delinquere di stampo mafioso. A dare l’allarme e’ stata una inserviente che nelle prime ore della mattinata e’ andata nell’abitazione, nel centro di Roma a pochi passi da Trinita’ dei monti. La donna ha chiamato il 118. Poco dopo e’ intervenuto anche il 113. Davanti al portone di via di San Sebastianello 9, discosto dalla folla di Piazza di Spagna, proprio di fronte alla rampa di scale che porta a Trinita’ dei Monti, e’ rimasto di guardia solo un agente di polizia. Fino alle 10:45, quando il corpo di Ciancimino e’ stato portato via dall’ appartamento al primo piano, sono rimasti al lavoro alcuni agenti della scientifica. Intorno alle 10:30 ha chiesto di poter vedere il corpo di Ciancimino Paolo, uno degli autisti della ditta che l’anziano ex esponente della Dc siciliana utilizzava ogni giorno per essere accompagnato in auto nelle sue passeggiate pomeridiane che poteva effettuare nonostante il regime degli arresti domiciliari al quale era sottoposto. L’autista ha riferito che Ciancimino viveva da solo nella casa, insieme con una domestica russa che lo accudiva ed al marito di lei. L’ex sindaco di Palermo, secondo il racconto dell’uomo, non aveva particolari problemi di salute a parte qualche sofferenza respiratoria ed i postumi di una frattura ad una gamba che aveva subito qualche anno fa e che gli dava ancora fastidi. “Ogni giorno chiamava la macchina per andare a prendere un po’ d’aria – ha raccontato Paolo -, usciva sempre dalle 16 alle 20. Chiedeva di essere accompagnato a Villa Borghese o ai Castelli”. Ciancimino aveva quattro figli, uno dei quali vive a Roma ed al quale, come riferito dal portiere dello stabile, Luciano, era intestato il contratto d’affitto dell’appartamento. Un altro figlio vive a Milano mentre altri due abitano a Palermo. “Circa tre mesi fa il figlio e la figlia lo hanno raggiunto dalla Sicilia – ha proseguito Paolo -, sono rimasti circa una settimana e poi sono ripartiti. E l’altro figlio che vive a Roma veniva spesso a trovarlo”. Paolo ha raccontato di aver visto Ciancimino per l’ultima volta circa un mese fa. “Era sereno – ha detto – ed era fiducioso che gli avrebbero tolto gli arresti domiciliari. Sognava di tornare a Palermo e mi aveva chiesto di seguirlo per fargli da autista personale. Poi non ci siamo piu’ sentiti”.

 

Vito Ciancimino e’ stato il primo esponente politico condannato per mafia: 10 anni in primo grado, ridotti in appello a otto poi confermati dalla Cassazione. Si e’ chiuso cosi’ nel dicembre 1993 un caso giudiziario che il giudice Giovanni Falcone aveva aperto dopo le rivelazioni di Tommaso Buscetta. “Ciancimino e’ in mano ai corleonesi”, aveva detto il grande pentito di Cosa nostra, offrendo un suggello autorevole ad antichi sospetti e alle pesanti valutazioni della Commissione antimafia. L’ arresto di Ciancimino, nel dicembre 1984, fu il primo passo di una caduta rovinosa e la conferma per via giudiziaria delle infiltrazioni criminali nella vita pubblica siciliana e negli affari amministrativi del Comune di Palermo. Ciancimino era stato assessore ai lavori pubblici negli anni ’60 e per meno di due mesi sindaco nel 1970. Ma la sua influenza sulle scelte politiche e amministrative di Palermo, come testimoniarono gli ex sindaci Elda Pucci e Giuseppe Insalaco, prosegui’ fino all’inizio degli anni ’80. Di questo ruolo svolto da Ciancimino c’ e’ ampia traccia nel cosiddetto processo per i grandi appalti del Comune per la manutenzione di strade, fogne e illuminazione pubblica. Il processo mise a fuoco la figura dell’ex sindaco quale “abile e costante manovratore dei lucrosi interessi” che ruotavano attorno agli appalti comunali. In quel processo Ciancimino fu condannato a cinque anni e mezzo poi ridotti in appello a tre anni e due mesi. E sempre in tema di appalti Ciancimino subi’ un altro processo (riguardava la manutenzione della rete idrica e la costruzione di alcune scuole) concluso con un’ altra condanna a 3 anni e otto mesi. Dalle vicende giudiziarie, ormai definite con sentenze definitive, ha preso spunto il Comune di Palermo per chiedere nel marzo scorso all’ex sindaco un risarcimento di 150 milioni di euro. Ciancimino aveva risposto in modo sprezzante: “Li vogliono tutti in contanti?”.

ANSA

di Giuseppe Lo Bianco

Gran burattinaio degli appalti di Palermo, primo politico condannato per mafia, cerniera visibile dei legami tra mafia e politica fin dagli anni ’60, don Vito Ciancimino, 78 anni, figlio di un barbiere di Corleone, e’ stato per oltre trent’anni uno dei simboli del potere a Palermo. Quel potere nato dalla politica sviluppata nei luoghi della democrazia, ma che a Palermo trovava un inspiegabile e determinante rafforzamento nel chiacchericcio sottotraccia che gli attribuiva inconfessabili e potentissimi legami con i boss di Cosa Nostra. Legami che solo nel 1984 vennero portati a galla dalle indagini di Giovanni Falcone che lo trascinarono in carcere: quella foto di un uomo improvvisamente anziano, con la barba incolta, appoggiato a due agenti mentre scende le scale della questura restitui’ piu’ di mille articoli il senso della caduta di un mito. Un mito che aveva governato Palermo.

“Via Sciuti e’ d’accordo?”, indirizzo del suo attico palermitano, erano l’ultima obbligatoria tappa di ogni operazione politico-affaristica. A don Vito, infatti, toccava l’ultima parola, quella definitiva. Ed egli stesso aveva una espressione assai colorita per spiegare ai suoi interlocutori perche’ l’accordo politico non era stato raggiunto: sfregava indice e pollice di una mano, gesto che a Palermo indica inequivocabilmente il denaro. Democristiano da sempre, ex sindaco negli anni ruggenti del sacco edilizio, intelligente, brillante, determinato, una passione per gli affari, Vito Ciancimino ottenne il suo primo incarico pubblico nell’immediato dopoguerra: e’ uno degli interpreti del generale Usa Charles Poletti, a capo dell’amministrazione militare alleata in Sicilia. Poi si iscrive alla dc, aderendo alla corrente di Bernardo Mattarella. Nel 1958 e’ assessore ai lavori pubblici, e si avvicina a Salvo Lima e Giovanni Gioia, i due leader del partito in Sicilia: sono gli anni della grande espansione edilizia, le ruspe lavorano a pieno ritmo, in una notte vengono abbattute palazzine liberty e casermoni di cemento sorgono in pochi mesi nelle aree periferiche della citta’. Restano aperte, e lo sono tuttora, le ferite del centro storico, raso al suolo dai bombardamenti alleati, del cui risanamento Ciancimino, come del resto i suoi successori, evita di occuparsi. Nel periodo in cui guida l’ufficio dal quale dipendono le sorti urbanistiche della citta’ don Vito e’ ufficialmente un appaltatore delle Ferrovie, per cui conto gestisce il trasporto dei carrelli ferroviari. Il suo socio e’ Carmelo La Barba, e quando la questura scoprira’ che e’ schedato come mafioso, l’appalto gli verra’ revocato.

Nel 1970 viene eletto sindaco e le polemiche raggiungono temperature da calor bianco: il Pci dice chiaramente che Palermo non puo’ avere un sindaco in odor di mafia, l’Antimafia riempie i suoi volumi di citazioni dedicati al figlio del barbiere di Corleone e ai suoi amici. Lui si dimette e querela tutti: giornalisti, politici delle opposizioni e perfino il capo della polizia, Vicari. Indagini dell’antimafia ed esito delle sentenze di diffamazione non contribuiscono a chiarire i suoi presunti, fino ad allora, legami mafiosi: ma la Dc inizia a prendere timidamente, e poi sempre piu’ decisamente, le distanze. A palazzo di Giustizia, dove i magistrati nonostante decine di denunce avevano guardato con asettica ed indifferente partecipazione l’ascesa politica di Ciancimino, arriva Giovanni Falcone. E Buscetta inizia il suo tormentato e mai concluso, racconto dei rapporti mafia-politica.

Quando una sera di ottobre del 1984 una squadra di agenti bussa alle porte di via Sciuti, Palermo scopre di non avere intoccabili. Firmato dal pool antimafia dell’ufficio istruzione il mandato di cattura contro don Vito apre per la Sicilia degli onesti una stagione di speranze presto trasformate in illusioni: per anni Ciancimino restera’ l’unico uomo politico-mafioso colpito dai rigori della giustizia. I giudici scoprono miliardi in Canada, ne svelano gli affari, portano a galla la sua capacita’ di collettore delle tangenti di un intero sistema degli appalti, drogato e pilotato dalla mafia. Conoscera’ il soggiorno obbligato a Patti prima e poi a Rovello, il carcere e poi, malfermo su una sedia a rotelle, riuscira’ a raggiungere il suo nuovo attico vicino Trinita’ dei Monti, a Roma, lontano da quella Palermo che aveva governato come un vicere’.

Un ruolo da protagonista al quale non rinuncia facilmente: ai carabinieri del Ros che cercano in lui un tramite per far cessare le bombe mafiose del ’92 propone di infiltrarsi nel nuovo sistema degli appalti, candidandosi come eterno distributore di tangenti, ruolo che, dice, gli viene riconosciuto da tutti i partiti e da tutte le imprese. “Tangentopoli e’ destabilizzante – sostiene – in Italia senza tangenti il sistema non puo’ reggere”. Riesce a contattare Riina, attraverso il suo medico Antonino Cina’, ma la risposta del boss che in un primo tempo sembra rifiutare l’approccio, lo gela: ‘questi sono pazzi – dira’ a carabinieri – oppure hanno le spalle coperte’. Quest’ultima convizione lo guidera’ negli ultimi anni della sua vita. Al procuratore Caselli consegna la sua verita’ sugli anni di piombo mafiosi, a partire dagli omicidi degli anni settanta e ottanta, riscrivendo, sulla base di sue personali deduzioni, la storia. E le sue memorie sono raccolte in centinaia di fogli dattiloscritti custoditi nel suo appartamento romano che don Vito, finora invano, ha tentato di fare pubblicare. ANSA

Ciancimino jr. consegna i memoriali del padre ai pmultima modifica: 2008-05-17T13:17:00+02:00da aldo251246
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