All’alba di magistropoli


Immagine tratta da http://www.emilydickinson.it

di Baldassare Bonura

Postato sul blog www.la-tua-voce.it sin dal 14.04.2007

Si sorride con amarezza leggendo quotidianamente le pagine dei più importanti quotidiani italiani e ripensando all’idea di giustizia che ci eravamo fatti da giovani.
La giustizia, ci dicevano i nostri padri, soggettivamente considerata, è la virtù che consiste nella volontà ferma e costante di riconoscere il diritto di ognuno. In senso oggettivo, ciò che è giusto ossia il diritto o la proprietà di ciò che è giusto (per es. la giustizia di una causa). Questo è il concetto proprio e specifico della giustizia intesa come virtù eminentemente sociale in cui ho creduto e voglio credere.
Ma le vicende che hanno coinvolto me ed i miei familiari, le numerose indagini a carico di alcuni magistrati, di uomini delle forze dell’ordine e di politici hanno dissacrato quell’idea di giustizia che non riesco a scrollarmi di dosso e che dà la misura della temperatura febbrile del nostro paese sedicente democratico e civile.

Non c’è democrazia senza una sana amministrazione della giustizia ed in Italia per ciò che accade si può ben dire che non c’è giustizia. Rimango fermo nella convinzione che solo se la magistratura è libera e indipendente, da correnti, logge e affari, potrà farsi portatrice e garante di una giustizia giusta e uguale per tutti come la legge prevede.
I fatti, e le inchieste, invece, hanno dimostrato che in dispregio all’etica e alla legalità, in molti, specie tra uomini di potere amici di azzeccagarbugli amici di uomini di legge, hanno facilmente trasgredito, lucrato e beffato il paese e le sue regole. Quindici anni fa, era il 17 febbraio del 1992, venne emesso un mandato d’arresto per Mario Chiesa, l’allora presidente del Pio Albergo Trivulzio, il nobile che nel 1766 devolse patrimonio e palazzo per la costruzione di un ospizio dove “poveri vecchi” potessero sentirsi utili, attivi e meno soli. Beffardo il destino, che, invece, nella nuova e più grande sede della Baggina, in zona ovest di Milano, dopo circa due secoli, fece del lussuoso centro per anziani la scena in chiaroscuro della battuta d’inizio del dramma “Tangentopoli”, simboleggiato dal logo ormai d’uso comune “Mani pulite” per dire che politici, imprenditori e affaristi, insieme a gruppi e organizzazioni di potere, si davano da fare sì attivamente, ma per far soldi contraccambiando favori e tangenti, e gestendo gli affari della ristretta cerchia del lungo elenco di adepti.


Immagine tratta da http://www.libreriauniversitaria.it

Quindici anni sono già trascorsi dal tempo delle indagini del pool milanese, delle dimissioni dell’allora Presidente Cossiga, delle inchieste su politici DC, PSI, PDS e PCI, delle inchieste su Fiat, Eni e Montedison, delle stragi del ’92 e del ’93, dell’elezione di Scalfaro, dell’esilio e della morte di Craxi. Eppure sono sempre in prima pagina volti noti e scandalosi affari: da Parmalat a Calciopoli, sono sempre i “soliti noti” a fare affari, con la triste variante che, ora viene fuori, che pure i giudici fanno parte dei cosiddetti “comitati d’affari” garanti dell’impunità di uomini potenti e di cosche.
Ma quale “seconda” Repubblica? C’è forse qualche differenza con la “prima”?
Tenendo conto della presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva dei soggetti coinvolti a vario titolo nelle indagini, non si può sottovalutare la portata di quanto si è ampiamente letto sulla carta stampata e sull’editoria on line (leggi nella sezione “articoli”del blog: http://www.la-tua-voce.it) a proposito dell’indagine aperta nel novembre 2006 a carico del presidente del Tribunale di Vibo Valentia coinvolto in una complessa trama di rapporti corruttivi, per ottenere favori “importanti” in relazione a suoi interessi nel settore turistico, ma anche, incredibilmente, regali consistenti in prodotti alimentari come pesce e formaggio. Il magistrato è stato arrestato con altre 12 persone nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Procura antimafia di Salerno, competente sui procedimenti riguardanti i magistrati del Distretto di Corte d’appello di Catanzaro.
Vibo Valentia, città da sempre crocevia di importanti interessi mafiosi, si ritrova ancora una volta al centro di una vicenda di corruzione dopo i fatti che in passato hanno riguardato altri settori pubblici della città, e interessi contigui alla potente cosca locale in cerca di canali sicuri in ambienti giudiziari. Si tratterebbe di una serie di relazioni e cointeressenze che, evidentemente, hanno oltrepassato quel limite consentito ad un magistrato che esercita le sue funzioni, peraltro, in un ambiente ad alta densità mafiosa.


Immagine tratta da http://www.bornpower.de

In seguito alla recente inchiesta sulle toghe lucane indagate dalla Procura di Catanzaro per il coinvolgimento in un presunto “comitato d’affari” che avrebbe agito in Basilicata con interessi in vari settori, hanno già avuto luogo le audizioni del presidente della Corte d’Appello di Potenza, del procuratore generale e dei sostituti procuratori, che da qualche tempo avevano denunciato attraverso una lettera inviata a palazzo dei Marescialli “concreti segnali di disarmonia” all’interno del loro ufficio.
In effetti di anomalie se ne intravedono anche lì dove si è letto che il pm De Magistris, “quel rompiballe” (così lo definiscono in alcune intercettazioni ndr) sia stato sollevato dall’inchiesta in corso sugli intrecci fra magistratura, politica e appalti miliardari “truccati”. Le motivazioni che avrebbero spinto il capo della Procura di Catanzaro, Mariano Lombardi, a togliere la titolarità al giovane magistrato sono esposte nella lettera di accompagnamento che lo stesso ha inviato insieme all’intero fascicolo dell’inchiesta al Procuratore di Salerno, Luigi Apicella che da alcuni giorni si trova in mano, secondo la stampa, una vera e propria bomba su una vicenda sconcertante.
De Magistris scrive tra l’altro: “La condotta associativa che vede coinvolto, quale indagato, il senatore avv. Giancarlo Pittelli, sembra essere caratterizzata anche dalla sua capacità di consumare condotte illecite unitamente a magistrati (….). E ritengo che un ruolo nel sodalizio criminoso, con riferimento proprio all’esercizio delle funzioni giudiziarie, si possa ipotizzare anche nei confronti di magistrati”.
La Procura di Catanzaro è stata pure oggetto delle ispezioni del CSM sulle indagini condotte dal pm Woodcock su “Foto e Ricatti” in merito all’opportunità delle spese sostenute per le intercettazioni a carico di vip, starlette, paparazzi, imprenditori e politici.


Immagine tratta da http://www.rai.it

Siamo di fronte ad uno strano paradosso, di fronte all’eccezione che conferma la regola di una magistratura tutt’altro che attiva e veloce, si interviene per accertare l’operato dei pm titolari di inchieste proprio lì dove i nodi si stringono intorno a nomi e cognomi di parlamentari, col risultato di ritardare e complicare il corso normale delle inchieste.
Per un cittadino non addetto ai lavori, è poco incoraggiante dover constatare che lì dove alcuni dei deputati e senatori, già giudicati o con un procedimento a carico, o attualmente indagati, stiano tranquillamente seduti in Parlamento, invece giudici ligi al proprio compito debbano lavorare senza troppo disturbare.
Eppure proprio quelle inchieste che vengono condotte anche a carico degli stessi magistrati, proprio questi esempi, purtroppo rari, di autocensura della magistratura rispetto a soggetti interni allo stesso organismo giudiziario, ridanno speranza dimostrando che forse la stessa magistratura voglia oggi ristabilire quei principi di legalità che stanno alla base di un paese democratico. E questo torna certamente a merito di tutta l’amministrazione giudiziaria ma soprattutto di tutti quei magistrati che operano nel rispetto del Diritto nella sua accezione oggettiva.
Alla luce di questa considerazione ha stupito in tanti qui in Sicilia il conflitto che attualmente sembra respirarsi all’interno della Procura della Repubblica di Palermo dopo l’elezione del procuratore capo Messineo. E ancor di più ha surriscaldato il clima degli uffici giudiziari l’incauta dichiarazione a mezzo stampa del Procuratore nazionale antimafia Grasso che dai giornali in quei giorni alludeva ad un ipotetico scambio di voti e favori in occasione della nomina di Messineo .


Immagine tratta da http://upload.wikimedia.org

Di scontri all’interno delle Procure si è letto su “Il Velino” il 3 gennaio 2007 a proposito della nomina del Procuratore Capo a Caltanissetta e del Procuratore Aggiunto a Milano. Nell’articolo si legge che“la quinta commissione del Consiglio superiore della magistratura è al centro di nuovi e aspri scontri fra le correnti dell’Associazione nazionale dei magistrati per due nomine importanti: quella del capo della procura della Repubblica di Caltanissetta e di un procuratore aggiunto a Milano. Per il posto a Caltanissetta che fu di Francesco Messineo, promosso alla guida della procura antimafia di Palermo, la battaglia è durissima. I candidati con le maggiori chance sono tanti: da Ugo Rossi, che prima di ritirare la candidatura fino all’ultimo insidiò il posto di Messineo, a Guido Lo Forte; da Sergio Lari ex consigliere del Csm fino a Giuseppe Pignatone. La sinistra vorrebbe insediarvi Lo Forte, che pur essendo vicino alle posizioni di Unicost viene ritenuto per il suo curriculum il più affidabile. Da lui infatti partì nei primi anni novanta l’inchiesta giudiziaria su Giulio Andreotti, quelle su altri politici e su alti dirigenti delle forze di polizia. L’importanza della procura della Repubblica di Caltanissetta sta nel fatto che gestisce le inchieste giudiziarie che coinvolgono i magistrati di Palermo”.
E proprio a Caltanissetta e al Csm risultano denunciati alcuni dei magistrati della procura della Repubblica di Palermo, denunce di cui sono a conoscenza i vertici delle Istituzioni del nostro paese e a cui l’organo inquirente dovrà dare presto risposta.
L’assenza della certezza del diritto e della sua puntuale applicazione è la prima causa del proliferare delle organizzazioni malavitose, degli intrighi di palazzo, della degenerazione della politica in lotte fra lobby di potere, del disincanto dei giovani.
Fino a quando l’illecito, sia esso di rilievo penale o amministrativo, non sarà perseguito dal magistrato inquirente, o fino a quando le voci dei cittadini che denunciano rimarranno inspiegabilmente inascoltate, e fino a quando lo spirito corporativo sottacerà le colpe ed i colpevoli di tali comportamenti, non si potrà avere l’autorità morale per potere parlare ai giovani di legalità né dissuaderli dal loro disincanto verso le Istituzioni.
E’ l’ora che la Magistratura per riacquistare credibilità si liberi in Sicilia, come nelle altre regioni d’Italia, delle mele marce, senza caccia alle streghe, di quelle mele marce che usano la lotta alla criminalità organizzata e la campagna condotta dai mass media come pretesto ad un consenso che non riscuote grandi riscontri di partecipazione civile, e neanche all’interno degli stessi organi giudiziari.
L’alba di magistropoli, rappresentata dalla volontà di giovani e coraggiosi magistrati di indagare e spezzare lo spirito corporativo che fino ad oggi sembra essersi volto esclusivamente ad occultare le colpevoli manchevolezze nell’amministrazione della giustizia e le responsabilità di colleghi, si identifica per il cittadino nella capacità dello Stato, della futura vera “seconda Repubblica”, di reagire ad un momento di perdita di fiducia e nella volontà di porre fine a ciò che ci sta portando nel baratro.
Al cittadino onesto non interessa che “l’anniversario della cattura” del boss Provenzano si commemori in un’ anomala commistione di presenze di magistrati, rappresentanti del governo, forze dell’ordine, e politici indagati, ma piuttosto che nella vita di tutti i giorni sia fatta Giustizia nelle aule dei tribunali, che i corrotti ed i mafiosi siano individuati e condannati in tempi ragionevolmente brevi, che si dia ai ragazzi una cultura della legalità attraverso l’esempio del proprio operato più che con riti commemorativi e slogan ad effetto.
Bisogna infondere fiducia con la certezza che il corrotto non possa più profittare dell’ imprecisione investigativa, né della corrività dell’istituto della “archiviazione” e quindi della successiva “prescrizione” dei termini dell’azione penale, che in Sicilia ha mietuto tante vittime e che, forse, ha rappresentato la concausa della perdita, da parte della collettività, delle preziose vite dei magistrati e di uomini e donne delle forze dell’ordine assassinati in nome del loro onesto e doveroso rispetto della legalità.

baldassare bonura

All’alba di magistropoliultima modifica: 2008-12-10T20:49:00+01:00da aldo251246
Reposta per primo quest’articolo
Questa voce è stata pubblicata in ARTICOLI, cultura, GIUSTIZIA, riceviamo e pubblichiamo e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.