ALLARME SUI BENI SEQUESTRATI: I CLAN SE NE REIMPOSSESSANO. INDAGINI IN SICILIA E CALABRIA

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Immagine tratta da http://www.wuz.it

Mafia: sequestrati beni per 2, 5 mln
Operazione della Dia in Sicilia e Umbria
(ANSA) – PALERMO, 3 GEN – La Dia ha sequestrato in Sicilia e in Umbria beni mafiosi per un valore complessivo di due milioni e mezzo di euro. Il provvedimento nell’ambito di indagini sull’individuazione e l’aggressione dei patrimoni mafiosi, attivita’ commerciali e beni immobili, intestati a prestanome e fiancheggiatori della cosca mafiosa palermitana del quartiere Resuttana, con a capo le famiglie Madonia e Di Trapani, ed a quella di Partinico, controllata dal boss latitante Domenico Raccuglia.
ANSA
Riproponiamo di seguito il commento pubblicato sul “forum” dell’allora sito di diario.it perché riteniamo di aver doverosamente attenzionato le Autorità e chi di competenza già nel 2006 sul reale pericolo del ritorno dei beni sequestrati alla mafia.

Quelle che tre anni fa erano delle libere opinioni desunte da fatti di cronaca pubblicati sui quotidiani siciliani, oggi sono fatti di cronaca resi noti da radio, giornali e siti giornalistici on line che hanno svelato le “astuzie mafiose e gli inquietanti retroscena” dietro a cui i clan negli ultimi decenni si sono facilmente “reimpossessati” dei beni sottoposti a sequestro presentandosi alle aste giudiziarie mediante compiacenti prestanome insospettabili.

Ciò che suscita legittime perplessità, oggi, dopo le indagini in corso su mafia, colletti bianchi e beni confiscati, è che l’autore del commento, a.p (alias Baldassare Bonura), è stato raggiunto da una denuncia per “diffamazione a mezzo stampa” per la quale è in corso un procedimento presso il Tribunale di Udine. (In corso di giudizio i querelanti hanno ritirato la denuncia con assunzione a proprio carico delle spese di giudizio)

Eppure nulla di più era stato scritto dall’autore del commento se non ciò che lo stesso aveva denunciato per note vicende oggi oggetto di indagini presso le Procure siciliane,  e in base a tutto ciò che era già oggetto d’indagini di inquirenti e pubblicato dai giornalisti in base alle dichiarazioni di pentiti attendibili.  

Con il commento si volevano allertare gli organi preposti al controllo sulla gestione di attività sequestrate alla mafia e sul  reale pericolo che i beni sequestrati potessero nuovamente diventare oggetto d’attenzione non lecita da parte dei clan.

Inoltre il commento anticipava ampiamente il riciclaggio del denaro sporco nelle catene della grande distribuzione, fatto poi dimostrato dai sequestri effettuati dal GICO della Guardia di Finanza di Palermo  e dalla Dia della Procura della Repubblica di Palermo a carico dei re Mida dei supermercati siciliani.

Inoltre, dopo l’inchieta di “Report” del 2007 sulla destinazione del denaro e dei beni confiscati, l’allora governo Prodi aveva disposto il commissariamento dell’[b]Agenzia del Demanio[/b] per snellire i procedimenti di catalogazione e ridestinazione dei capitali sequestrati a canali produttivi puliti. Ciononostante però dell’Agenzia unica di gestione dei beni confiscati ad oggi non se n’è fatto più nulla.

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Dubbi su gestione beni confiscati alla mafia

L‘allarme di una recrudescenza della politica affaristica-mafiosa, lanciato nei giorni scorsi dal prefetto di Palermo Giosuè Marino, nella sede del Centro Pio La Torre, nell’ambito di attività antimafia. è più che giustificato, specie se riferito ai consorzi nati in zone ad alta densità mafiosa, loro malgrado, come il Consorzio “Sviluppo e Legalità” dei Comuni dell’Alto Belice Corleonese, foraggiati negli ultimi anni da finanziamenti per diversi milioni di euro. Qui sono stati erogati 148,699.3 miliardi di lire con il  Patto Programmato per le aree agevolate, per un totale di nuovi occupati pari a 0, e per un totale di già occupati pari a 708.

E ancora è stato pianificato l’investimento complessivo di 3.600.000 euro destinati ai Comuni del comprensorio corleonese, in virtù del “Progetto sviluppo e legalità” mediante il Programma Operativo Nazionale per la Sicurezza 2000-2206. 

Nulla da ridire sulle buone intenzioni di Polizia di stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza, che di concerto con la uscente Presidenza del Consiglio, con il Ministero di grazia e giustizia, con le Regioni, i Comuni e  le Province, e ancora con la società “Sviluppo Italia”, diretta dall’allora ministro per gli affari meridionali Gianfranco Miccichè, si ponevano come obiettivo del programma la ristrutturazione e utilizzazione dei beni dei capi mafia, e dei loro prestanomi, valutati per diversi milioni di euro; anzi per essere più precisi stando all’ultimo rapporto della DIA, del 2002, il valore dell’attuale patrimonio della mafia si aggirerebbe intorno ai 3 miliardi di euro.

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L’abitazione del boss Nino Rotolo, uno dei componenti della “triade” che sovrintendeva alla gestione di Cosa Nostra insieme ad Antonino Cinà e Francesco Bonura. (FOTO: FRANCO LANNINO)

Immagine tratta da http://www.repubblica.it 

Gli otto Comuni dell’Alto Belice Corleonese ossia: Monreale, Corleone, San Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi, cui si sono accorpati San Cipirrello, Roccamena, Altofonte e Camporeale,  si  impegnavano ad utilizzare, nell’arco di tempo 2000-2006, ben 2.154 miliardi di euro per la riutilizzazione legale dei beni di personaggi del calibro di Totò Riina, Bernardo Provenzano (allora latitante), Leoluca Bagarella, Bernardo Brusca, Giuseppe Genovese; tutti natii dell’ampia area geografica sin qui descritta.

I nodi però sono venuti al pettine sino alla radice: proprio i Comuni del Consorzio promotore del progetto pilota, in questi ultimi mesi. hanno fornito spunti di cronaca che hanno tracciato un percorso, forse, reso più chiaro dalla cattura del boss latitante Provenzano, che si nascondeva a 2 chilometri da Corleone sede, tra l’altro, del CIDMA (Centro Studi Documentazione Antimafia) diretto dal sindaco Nicolò Nicolosi esponente di Nuova Sicilia e Patto per la Sicilia.

Primo fra tutti ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose è il Comune di Villabate, indirettamente riconducibile ai Comuni consorziati, da quando il consigliere comunale Campanella, ex bancario del Credito Siciliano, indagato per mafia, nella neo veste di pentito. dal dicembre 2005  ha reso chiare ed esplicite dichiarazioni che mettono in seria discussione la politica dell’antimafia di questi ultimi cinque anni.

E’ Campanella ad indicare come persona legata ad interessi mafiosi Giuseppe Cipriani, ex sindaco di Corleone, suggerito per il consiglio comunale all’oggi sindaco dimissionario di Bagheria, Giuseppe Fricano (cugino del boss di Prizzi Masino Cannella) anch’egli indagato per collegamenti ad ambienti mafiosi.

Cipriani rivestiva la carica al Comune di Bagheria  di assessore alle politiche per la legalità e la gestione dei beni confiscati; e solo nella città di Bagheria se ne contano ad oggi, tra ville, casali e terreni, almeno 35 per un ingente valore immobiliare (Giornale di Sicilia del 13 dicembre 2005 Riccardo Arena).

Nel Comune di Piana degli Albanesi il sindaco è attualmente in pericolo di sfiducia. 

Di truffa al Patto Alto Belice Corleonese per due finanziamenti gonfiati, uno di 1 miliardo e 200 milioni di lire, e l’altro di 1 miliardo e 400 milioni di lire, si è indagato nel Comune di Camporeale: nel Gennaio scorso vengono assolti il sindaco Nicola Maenza, che è anche presidente del Consorzio “Sviluppo e Legalità” e componente del cda della coop destinataria del finanzamento, ed il presidente di una cooperativa Massimiliano Solano ed altri ex amministratori di coop (Giornale di Sicilia del’11 gennaio 2006). Ma il nodo non è sciolto: il gup assolve gli imputati perché non responsabili del reato di truffa e falsa fatturazione, fatto-reato  che però oggettivamente sussiste; la Procura si è riservata la possibilità di impugnare la decisione.

Sempre nei mesi appena trascorsi  è stato sciolto il Comune di Roccamena, per infiltrazioni mafiose, anzi nel cassetto del sindaco indagato Salvatore Gambino è stata rinvenuta una pistola insieme ad un paio di guanti in lattice, le indagini sono in corso.

Diversa sorte, e non per questo meno inquietante, è toccata, nel marzo scorso, al sindaco di San Giuseppe Jato Giuseppe Siviglia, che ha subito un attentato intimidatorio con tanto di croce impressa con vernice rossa all’ingresso del cinema “Tiffany” di sua proprietà a Palermo; a suo dire “…si è voluto colpire il sindaco e non l’imprenditore”.

Segue l’attentato all’utilitaria di proprietà di  Dino Paternostro, giornalista direttore di “Città Nuove “ e responsabile del sindacato CISL a Corleone: e non è solo l’auto del giornalista a “saltare” nella stessa notte, ma anche quelle di un’impiegata del CIDMA e di un sottoufficiale dei Carabinieri non in servizio  a Corleone; benchè nessuna dichiarazione sia stata resa in proposito dalle ultime due vittime dell’intimidazione mafiosa.

Proprio da un articolo del Luglio 2005 di “Città Nuove” di Roberto Intravaglia, si evidenziava il finanziamento di ben 100 milioni di euro, per il riadattamento della strada di collegamento Corleone-Marineo, annunciato dal sindaco Nicolosi e dal capogruppo di Forza Italia onorevole Renato Schifani; forse è il domandarsi la reale opportunità di un siffatto finanziamento per un collegamento autostradale non indispensabile che ha disturbato gli interessi di un qualche soggetto indirettamente coinvolto nell’appalto milionario.

Corleone ed i Comuni dell’Alto Belice sono per condizione storica e geografica al centro di grossi e multiformi interessi politici ed economici, che inevitabilmente si sono incrociati con ben più sordidi appetiti che dal comprensorio in esame arrivano a Palermo attraverso Bagheria e Villabate, la cui ombra lunga giunge sino a Partinico e Carini.

Gli strumenti operativi del sistema affaristico mafioso sono, stando alle cronache, oltre che sindaci e consiglieri comunali corruttibili, anche imprenditori di grosse catene di distribuzione, insospettabili liberi professionisti, legali e commercialisti, come più volte asserito dallo stesso Procuratore antimafia Pietro Grasso.

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Immagine tratta da http://digilander.libero.it

A ulteriore conferma di ciò si aggiunge il riferimento alla “holding dell’antimafia” fatto dal figlio del compianto giudice Paolo Borsellino, Manfredi, oggi commissario capo della polizia; che, a proposito dell’indagine in corso per riciclaggio sul centro sociale gestito da padre  Bucaro a Palermo, sostiene che la “questione morale” va ricercata proprio nei salotti buoni dell’antimafia.

E’ dunque lecito destare l’attenzione delle forze dell’ordine, degli organi giudiziari preposti al controllo della legalità, e degli organi di stampa, perché si faccia piena luce sull’andamento della gestione degli interessi economici di consorzi e cooperative che operano in zone ad alto rischio di infiltrazione mafiosa, proprio lì dove le proprietà della mafia sono state individuate e sequestrate grazie alla Legge Pio La Torre e al sacrificio di tante vite in nome della legalità.

a.p. 24 aprile 2006 pubblicato su blog locali e nella sezione del forum di “diario.it”

I beni confiscati della mafia? Alla Mafia. Sotto inchiesta amministratori e politici

Tratto da http://calabria.indymedia.org/article/2631 23 agosto 2008 Le case confiscate?
Restano ai boss
Una panoramica di Reggio Calabria

Calabria, centinaia tra sindaci e assessori sotto inchiesta
GUIDO RUOTOLO
REGGIO CALABRIA

Che vergogna, la Calabria del riscatto contro la ‘ndrangheta. Che brutto colpo (d’immagine) per lo Stato che fa sul serio. E per la politica (bipartisan) che ha fatto della «confisca dei beni mafiosi» il suo manifesto programmatico.

C’è una informativa del Ros dei carabinieri di Reggio Calabria alla Procura della Repubblica, uno screening serio e documentato sullo stato dell’arte delle confische dei beni e del loro utilizzo. Il bilancio è disarmante: 374 tra sindaci, assessori e funzionari comunali della provincia di Reggio sono stati denunciati per omissione d’atti d’ufficio, aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta.

Tra i denunciati c’è anche il sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti (An), un magistrato che ha fatto il pm al Tribunale di Palmi, Giuseppe Adornato, un colonnello della Guardia di finanza pensionatosi per passare alla politica, Graziano Melandri, assessore alla polizia urbana di Reggio. E tutto questo perché la stragrande maggioranza degli 803 beni immobili confiscati alle famiglie della ‘ndrangheta, a partire dal 1996, o sono in stato di abbandono o sono ancora nella disponibilità degli ex proprietari.

Dunque, il rapporto del Ros di Reggio: «Si procedeva all’acquisizione, presso l’Agenzia del Demanio di Reggio Calabria, di un elenco dei beni confiscati agli esponenti della criminalità organizzata, ricadenti in questa provincia. Dalla lettura del tabulato si accertava che alla date del 16 maggio del 2006 erano stati confiscati 803 beni immobili, di cui 307 già consegnati dall’Agenzia del Demanio alle competenti amministrazioni comunali».

Bilancio del colonnello Valerio Giardina: «Dopo i primi accertamenti è emerso che parte degli immobili, sebbene siano stati destinati e consegnati alle rispettive amministrazioni comunali nel cui territorio di competenza gli stessi ricadono, sono stati assegnati ad enti e/o associazioni di impegno sociale con notevole ritardo, cioè solo alcuni anni dopo la loro presa in consegna; alcuni, non sono mai stati assegnati ad alcun ente, con iter procedurali avviati e mai conclusi, pertanto inutilizzati; altri ancora sono addirittura risultati in uso e/o nella disponibilità dei soggetti nei cui confronti si è proceduto alla confisca, o dei loro familiari».

Va anche segnalato, per dovere di cronaca, che vi sono soltanto tre comuni in regola. E cioè che hanno utilizzato i beni loro assegnati. Platì, il comune con il più basso reddito procapite in Italia, ha trasformato il palazzotto a tre piani della famiglia Barbaro in una caserma dei carabinieri. Piccolo e non secondario particolare: il comune di Platì, sciolto per mafia, è amministrato da tre commissari prefettizi. A Fiumara, il palazzo di Nino Imerti ospita una scuola ed edifici pubblici. A Maropati, il terreno del boss Michele Audino è gestito oggi dalla cooperativa sociale «Futura».

Tre granelli di sabbia nel deserto. Gli «inadempienti» sono decine di comuni: dal capoluogo a Gioia Tauro, da Africo a Melito Porto Salvo, da Siderno a Palmi, Rosarno, Villa san Giovanni. Prendiamo il caso di Reggio Calabria. E di quel palazzo di cinque piani del «Supremo», il boss Pasquale Condello (di recente arrestato dopo una ventennale latitanza). Quel palazzo fu confiscato definitivamente nel 1997 e consegnato al comune alla fine del 2001. Cinque anni dopo, nel 2006, era ancora «nella piena disponibilità del nucleo familiare di Condello». Dopo i primi interrogatori di funzionari e amministratori reggini, lo stabile a partire dalla fine del 2006 è stato liberato dai suoi inquilini.

Ad Africo Nuovo, i terreni di Giuseppe Morabito dovevano diventare «spazio verde pubblico da attrezzare per la collettività». Sono ancora oggi in stato di abbandono. Ad Ardore su un terreno confiscato alla famiglia Violi e Ciampa doveva sorgere un centro contro la tossicodipendenza, a partire dall’ottobre del 2004. Il comune ha pensato di realizzare un parco giochi. Ma aspetta ancora i fondi regionali per farlo. Su certi terreni della famiglia Piromalli di Gioia Tauro, destinati a un centro per le tossicodipendenze, la ‘ndrangheta coltiva ancora ortaggi e frutta.

Il rapporto del Ros è una mina vagante. Se i sindaci e gli assessori comunali verranno mandati a processo, mezza Calabria dovrà essere commissariata. E la credibilità dello Stato che fa sul serio, dell’Antimafia dei diritti e dei doveri, oltre che della prevenzione e del contrasto, è già bella che defunta. Link correlati: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/20…a.asp

 

ALLARME SUI BENI SEQUESTRATI: I CLAN SE NE REIMPOSSESSANO. INDAGINI IN SICILIA E CALABRIAultima modifica: 2009-01-07T18:48:00+01:00da aldo251246
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