Baldassare Bonura: le denunce sporte dal 2004 contro gli Sgroi di Carini oggi sono confermate dalle inchieste

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RASSEGNA STAMPA

KLICCA la-tua-voce_it_bkumbria_1203758438.JPGMafia in Veneto: si nega ancora ma c’è 15 APRILE 2013

KLICCA Il tesoretto dei Lo Piccolo in Veneto 15 OTTOBRE 2009

Pubblichiamo di seguito l’articolo di Riccardo Arena, tratto dal “Giornale di Sicilia” del 20 febbraio 2009, che riporta le rivelazioni depositate ai pm della Dda Francesco Del Bene e Gaetano Paci dall’ “uomo del pizzo” Francesco Briguglio, da un mese neo collaboratore.
Briguglio, scrive Riccardo Arena, “alter ego di Gaspare Di Maggio (…), parla anche di un imprenditore scomparso di recente, Paolo Sgroi, titolare dei supermercati Sisa: lui era suo dipendente e conferma lo stretto legame che Sgroi, dal punto di vista imprenditoriale, avrebbe avuto con Salvatore Lo Piccolo”. Briguglio, secondo il “Giornale di Sicilia”, in merito ai rapporti tra lo Sgroi e il capomafia di Carini Salvatore Lo Piccolo “è il primo che ne parla”.
Qui su questo blog, nato per rendere pubblica una vicenda giudiziaria lunga quasi venticinque anni, è doveroso ricordare e puntualizzare che Baldassare Bonura, imprenditore palermitano costretto a fallire per volontà di una lobby mafioso-imprenditoriale fortemente legata agli interessi economici del settore turistico dell’isola di Ustica, ha sporto numerose e successive denunce ben prima che la stampa rendesse noti i legami del gruppo Sisa con i clan locali.
 
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PALERMO repubblica.it 6 dicembre 2008
Commentano i pubblici ministeri Gozzo e Paci: «Il defunto Paolo Sgroi non ha fatto affari se non con soggetti che gravitano nell’ orbita di ambienti mafiosi…

Già nel 2003 le denuce del Bonura erano state sporte anche contro gli Sgroi dei supermercati Sisa di Carini e contro soggetti terzi ad essi contiguamente connessi; nuove denunce sono state presentate ancora tra il 2004 e il 2005 al Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Palermo ed alle Procure della Repubblica di Palermo, Catania e Caltanissetta, e poi nel corso degli anni 2006-2007 gli stessi esposti sono stati reiterati alla Prefettura di Palermo e alla Commissione Antimafia. Il tutto avveniva nel totale Silenzio sia delle Autorità tempestivamente allertate e ciononostante determinatesi all’archiviazione degli esposti nella persona di alcuni Gip, sia della stampa locale. Nei successivi esposti, depositati presso legali e notai di fiducia a scopo cautelativo del denunciate, dal Bonura sono stati ampiamente e dettagliatamente forniti documenti, parcelle-fatture, insieme a stralci tratti dai fascicoli di indagini investigative già avviate nel 1994 dal GICO della Guardia di Finanza di Palermo, e pure allora ritualmente archiviate, nonostante anticipassero ampiamente già vent’anni fa le gravi collusioni tra clan mafiosi e imprenditoria siciliana. Di quegli esposti ad oggi Bonura, cittadino denunciante, non ha alcun riscontro, ma in essi era contenuto tutto quello che poi si è letto sui quotidiani nazionali sui supermemercati della mafia, sul denaro riciclato, e sui legami tra mafia e affari che oggi vengono confermati dalle ultime dichiarazioni di un neo pentito. Eppure sin dal 2006 sul blog di Bonura www.latua-voce.it  il “Caso Ustica-Bonura” è stato ampiamente reso noto dal denunciate alla comunità di Internet contro chiari tentativi di insabbiamento, e contro dichiarazioni scritte e volte alla diffamazione del Bonura e alla delegittimazione della Verità ormai palese anche nei verbali che raccolgono le dichiarazioni di pentiti. Da circa cinque anni Bonura rimane in attesa di una volontà di indagine da parte delle Autorità interpellate, nel frattempo il 3 maggio 2007 la sua utilitaria è stata rubata e poi rinvenuta lo stesso giorno come verbalizzato dalla Polizia di Palermo, cui il Bonura aveva fatto tempestiva denuncia. L’auto, le cui foto sono pubblicate da due anni su Internet, mostra evidenti segni di ammaccature e sprangate che di fatto l’hanno resa inutilizzabile. Anche di questo grave atto subito, insieme ad altri precisi segnali intimidatori tutti denuciati, ad oggi il Bonura non ha avuto alcun riscontro investigativo né dalla Prefettura di Palermo, che pure era stata informata sin dal 2006 delle denunce inoltrate alla Procura palermitana, né dagli organi di Polizia sebbene tempestivamente interpellati.

Di seguito riportiamo l’intervista a Baldassare Bonura http://arig.myblog.it/archive/2006/09/index.html pubblicata il 23 settembre 2006 sul suo blog che ha “dato voce” ad una coraggiosa denuncia che merita di uscire dai cassetti degli uffici giudiziari; l’intervista contestualmente alla sua pubblicazione è stata spedita tramite raccomandata a.r., insieme ai fascicoli delle denuncie, all’attenzione del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

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IL RETROSCENA. II collaboratore ricostruisce alcuni delitti e si autoaccusa di due. E «relaziona» sulla contabilità del racket: chi pagava e quanto

Gli omicidi e i conti della cosca raccontati dall’ex cassiere. Per vestirsi non si badava a spese

Tratto dal Giornale di Sicilia 20 febbraio 2009 di Riccardo Arena

PALERMO. Giampiero Tocco, Giusep­pe D’Angelo, Giovanni Bonan­no, Benedetto Spatola, detto Li­no. Sono i delitti, in parte irrisol­ti, di cui Francesco Briguglio sa qualcosa o di cui si autoaccusa: per Tocco e D’Angelo riconosce il proprio ruolo, per Bonanno co­nosce i nomi degli assassini e sa come andarono le cose, per Spa­tola parla del proprio ruolo e di quello di Gaspare Di Maggio, fi­glio di Procopio e fratello di Giu­seppe, detto Peppone, fatto spa­rire nel 2000 e ritrovato cadavere in mare, al largo di Cefalù. Per punire i suoi assassini fu elimina­to Giampiero Tocco, che di Giu­seppe Di Maggio era amico e che fu sospettato di averlo tradi­to. Le dichiarazioni di Francesco Briguglio, cassiere della cosca e capace di conoscere tutti i conti del clan di Cinisi, osservano gli inquirenti, si sposano perfetta­mente con quelle di Gaspare Pu­lizzi, e potrebbero consentire adesso la celebrazione di un pro­cesso per l’omicidio Spatola, fi­nora rimasto senza colpevoli. Alter ego di Gaspare Di Mag­gio, ma soprattutto addetto a en­trate e uscite, Briguglio parla an­che di un imprenditore scompar­so di recente, Paolo Sgroi, titola­re dei supermercati Sisa: lui era un suo dipendente e conferma lo stretto legame che Sgroi, dal punto di vista imprenditoriale, avrebbe avuto con Salvatore Lo Piccolo. Briguglio è il primo pen­tito che ne parla non per sentito dire o «de relato», ma per averlo appreso in prima persona. Il collaborante sta risponden­do alle domande dei pm Gaeta­no Paci e Francesco Del Bene e i suoi verbali sono stati depositati ieri da Paci e dalla collega Laura Vaccaro, davanti al Gup Loren­zo Matassa, nel processo, in cor­so col rito abbreviato, che vede imputato proprio Di Maggio. Il neopentito legge, analizza i pizzi­ni, li decifra e sa di cosa parla: «Fi­no all’inizio del 2004 – dichiara – ho gestito la cassa, su indica­zione di Salvatore Lo Piccolo. E con me operavano Gaspare Di Maggio, Damiano Mazzola (det­to “il tappiaturi”, ndr) e Vito Pa­lazzolo, che doveva rimanere ri­servato e che, dal 2003, si è occu­pato di gestire la latitanza dei Lo Piccolo». Briguglio legge e spiega, par­lando di un incontro imbaraz­zante per uno dei due protagoni­sti: «La persona che era sbianca­ta in presenza di Procopio Di Maggio è tale Giannusa, proba­bilmente geometra, accusato di aver partecipato alla sparizione del figlio di don Procopio, Giu­seppe Di Maggio». Nello stesso biglietto si parla di un incontro che Gaspare Di Maggio avrebbe dovuto avere ad Alcamo con il. boss Ignazio Melodia: «Con il suo sodalizio mafioso Di Maggio aveva contatti per conto dei Lo Piccolo». Poi viene decifrato il libro dei conti della cosca: «L’indicazione “euro 1500 lavoro di fronte bivi­ratura”» riguarda ad esempio il pizzo per la ristrutturazione di un immobile sequestrato ai Ba­dalamenti e usato «come caser­ma dei vigili urbani di Cinisi». « L’ indicazione “euro 12000 accon­to recinzione P. Raisi”» riguarda il pizzo per i lavori di recinzione dell’aeroporto; «euro 8500 ac­conto lavoro scuola» è la messa a posto per la costruzione di un edificio scolastico a Cinisi. C’è poi l’estorsione al titolare della ditta Mar, Giuseppe Todaro, di Carini, autore di una coraggiosa denuncia e costretto a vivere sot­to scorta: fu proprio Briguglio a incassare prima 2500 e poi 9700 euro, tra il 2005 e il 2006. Pizzo imposto pure all’hotel Azzolini di Terrasini (1500 euro), e all’im­prenditore Spica per lavori a Punta Raisi (7000 euro). Cinque­mila euro li dovette pagare la dit­ta che ristrutturò i locali del Co­mune di Balestrate. C’è l’assistenza alle famiglie: 2000 euro alla cognata di Di Mag­gio, vedova di Peppone, 3000 a «papà», cioè a Procopio Di Mag­gio; 3500 a «Zu Paolo» Palazzolo, cognato di Bernardo Provenza­no. E c’è soprattutto la maniaca­le cura del vestiario: 1700 euro per rinnovare l’abbigliamento «di me stesso, di Gaspare, del Tappiatore, cioè Damiano Maz­zola», 1600 «abiti x i Carinisi», cioè Pulizzi e Ferdinando «Fred­dy» Gallina, 200 per il giubbotto del «compare», Sandro Lo Picco­lo, 500 per Umberto Ferrigno, cui fu pure regalato un orologio Longines. E vestiti, 1500 euro, pure «per i partinicoti». C’erano i soldi per chi dava le notizie sui lavori all’aeroporto e 700 euro «per comprare cerca microspie + apparecchio con corrente», operazione fatta «on line da Pie­ro Galati».

Leggi i post:

Supermarket Mafia di Peter Gomez, L’Espresso 15 novembre 2007

http://latuavocelibera.myblog.it/archive/2011/01/02/cedi-sisa-super-market-mafia-di-peter-gomez.html#more

I Pentiti incastrano Briguglio, il rapinatore incoronato boss, Giornale di Sicilia del 2 agosto 2008

http://latuavocelibera.myblog.it/archive/2011/01/01/dipendente-sisa-coinvolto-pure-nell-omicidio-d-angelo.html

Dopo la denuncia, effetti collaterali senza avvertenza

Illeglità all’ombra della legalità mafia hundergraund e sinistri avvertimenti, 3 maggio 2007

http://latuavocelibera.myblog.it/archive/2008/10/26/mafia.html

Mafia in Veneto: si nega ancora ma c’è
Di Luca Matteazzi il 15 apr 2013
FONTE http://www.nuovavicenza.it
Quello della presenza mafiosa nel Veneto è un fenomeno antico, eppure sempre attuale. Basta sfogliare le cronache della ultime settimane, in cui sono riportare le indagini della polizia su una gara d’appalto sospetta lungo la A22 tra Verona e Trento (l’incarico è andato, grazie ad un maxiribasso, ad un’azienda napoletana già al centro di altre indagini). O, andando più indietro di qualche mese, le inchieste della direzione antimafia sui cantieri della Valdastico sud, i controlli a tappeto, sempre della direzione antimafia, nei cantieri per la terza corsia della Venezia Trieste, le polemiche per certi legami “pericolosi” del consorzio che sta costruendo la Pedemontana con fornitori siciliani considerati vicini alla famiglia dei Lo Piccolo.
I cantieri delle grandi opere stradali, dunque, come osservati speciali. « È così – conferma Enzo Guidotto, presidente dell’Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso e già consulente in due legislature della commissione parlamentare antimafia -. È da tempo che imprenditori del sud vengono al nord per appalti e affari e viceversa. Non dobbiamo pensare che la mafia qui sia come un cancro in un tessuto sano. Se cresce vuol dire che trova un terreno fertile».
Un intreccio tra criminalità, affari e politica che gli addetti ai lavori segnalano da decenni. Ne parlava già il magistrato Giovanni Falcone nell’83, ricorda Guidotto. Subito dopo, nella seconda metà degli anni ’80, esplode l’allarme per la “mala del Brenta” e alcune inchieste rivelano appalti affidati a ditte vicine alla criminalità organizzata da parte delle istituzioni regionali. Eppure nel ’93 la commissione antimafia scriveva che in Veneto si registra «una certa resistenza ad acquisire come elemento di fatto il dato della presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso». E ancora, che c’è «una certa resistenza culturale ad accertarli come reali e soprattutto a rendersi conto del fatto che essi non rivestono soltanto le forme tipiche e più violente, ma si rivolgono anche in forme assai subdole di infiltrazione nello stesso tessuto economico-sociale».
La mafia c’era (e c’è), ma non si voleva ammetterlo. «E’ mancata una risposta individuale e collettiva – aggiunge Guidotto -. Si dice “non vo combater”, come se la cosa non ci riguardasse». Sarebbe servita una azione di informazione e prevenzione capillare, che invece non è mai stata fatta. «Si guarda al fenomeno con un cannocchiale rovesciato e i paraocchi. Il cannocchiale rovesciato serve a considerare i problemi piccoli e lontani, i paraocchi a non vedere quello che ti succede accanto».
Il risultato è che la commistioni hanno continuato a rafforzarsi. Così sono saltati fuori gli investimenti immobiliari per conto dei Lo Piccolo nel chioggiotto, l’arresto di Costantino Sarno, camorrista di Secondigliano prima pentitosi e poi evaso, a Caorle, la presenza di contatti dei Lo Piccolo (ancora loro) nel trevigiano, la società finanziaria Aspide, con cui i Casalesi controllavano nel padovano un giro di usura e allungavano il controllo su decine di aziende.
Anche nomi noti del Vicentino sono stati sfiorati dal sospetto. È toccato alla casa vinicola Zonin per l’assunzione di persone vicine ai clan nella proprietà siciliana del Feudo di Butera, anche se alla fine l’azienda è risultate essere la vittima dell’estorsione. «Per il procuratore di Caltanissetta, però – puntualizza Guidotto – la Zonin si è mossa solo quando è stata con le spalle al muro». Ed è toccato a Danilo Preto, dirigente di vertice del gruppo Sisa e uomo di punta della struttura del Vicenza Calcio (di cui è stato a lungo amministratore delegato e per un certo periodo anche presidente), a cui nel 2009 sono state sequestrate quote societarie considerate dagli inquirenti riconducibili, tramite l’imprenditore siciliano Paolo Sgroi, ai Lo Piccolo. Lui ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento, e nel 2011 ha partecipato ad un’iniziativa dell’associazione Libera in ricordo delle vittime della mafia.
«Un fatto scandaloso – conclude Guidotto, che non risparmia qualche frecciata neppure a Libera, di cui è stato tra i fondatori e referente regionale -. Non si possono commemorare le vittime delle mafie in questo modo: fosse successo a Palermo, sarebbe finita su tutti i giornali. C’è troppo buonismo, non bastano i convegni, e non tutti sono come don Ciotti che ha coraggio e non guarda in faccia a nessuno». Un atto d’accusa che si estende anche alle associazioni di categoria, che hanno a lungo sottovalutato il problema: «Adesso ne parlano tutti, ma ormai i danni sono fatti, perché è mancata la prevenzione. Servono azioni capillari, nei mandamenti e sul territorio». Insomma, c’è ancora molto da fare.

Baldassare Bonura: le denunce sporte dal 2004 contro gli Sgroi di Carini oggi sono confermate dalle inchiesteultima modifica: 2009-02-20T20:04:00+01:00da aldo251246
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