dal CORRIERE DELLA SERA
19.05.2010
di Felice Cavallaro
Ai funerali mamma Rosaria si rivolse agli assassini. «Vivo il peso della tragedia»
Il figlio dell’agente Schifani: scopro ora il vuoto per papà
GENOVA – Incastonato fra le palme si vede il mare azzurro, ma non è Mondello. In giardino c’è una magnolia alta come l’Albero Falcone, ma non è Palermo. Perché Emanuele Antonino Schifani, il figlio di uno dei tre agenti di scorta a Falcone, ha lasciato la Sicilia subito dopo la strage di Capaci. Per scelta di sua madre, Rosaria, icona di quella tragedia, monito al cuore dei boss: «Vi perdono, ma inginocchiatevi…». I cronisti se la ricordano l’esile figura di Rosaria che, a ventanni, correva per Palermo con il suo Manù in braccio, quattro mesi appena, presentandosi a casa di Paolo Borsellino: «Farà giustìzìa?». Poi scappò via dalla città che aveva reso orfano il suo bimbo: «I primi quattro mesi della tua vita sono stati gli ultimi di papà». Adesso che siamo al diciottesimo anniversario della strage, quel bimbo è diventato uomo e s’affaccia incerto per la prima volta su un giornale, «senza foto, per favore». Diciotto anni. Gli stessi della strage che sarà ricordata domenica.
«No, quest’anno non posso, forse non voglio.
E poi quell’aeroporto, quel tragitto… C’è un’altra via? Vorrei arrivare a Palermo senza fare l’autostrada Non ho vissuto la tragedia, ma sento il peso, ogni volta. La curva, il guard-raîl tinto di rosso, il casotto del telecomando. Quando ci passo succede qualcosa di indefinito, non so bene cosa, cero» ma succede. Forte. Terribile. Mi brucia lo stomaco».
Il 23 maggio passa inosservato?
Terribile. Mi brucia i miei compagni non ne sanno niente. Estranei, fatte rare eccezioni. E, comunque, se scatta un cenno, succede solo quel giorno, stop. Fra qualche anno si dimenticherà totalmente qui al Nord».
Fiducia nella politica?
«Non me ne interesso».
Come i tuoi compagni non si interessano di mafia?
«La verità è che non capisco né la politica né la giustizia. Vedo che rifanno i processi, dopo 18 anni. Dovrei informarmi meglio. Ma ogni volta che mi avvicino a questi intrighi sento puzza di politica».
Cosa succede quando a scuola si parla di mafia?
«Non se ne parla In Toscana ero ancora piccolo. In Liguria non accade nemmeno al liceo. Mai visto niente di antimafia, da queste parti. Mai avuto un professore che ne parlasse, mai, zero».
Arrabbiato?
«Sono inc… con la politica che non ha cambiato e non cambia. E pure con gli investigatori e i magistrati perché i risultati non ci sono. Ma non so con chi prendermela».
Dicono che qualche nuovo pentito stia chiarendo.
«Quanto bisogna aspettare? Hanno arrestato tanti boss dopo anni di latitanza. Ma, rispetto al grande gioco, sembrano pure loro pedine guidate dai burattinai di Stato».
Sei pessimista?
«Ho capito chele stragi del.’92 accaddero mentre a Milano esplodeva Tangentopoli. Ma con queste storiacce delle case, con la lista dei clienti eccellenti… Dai miei 18 anni, da quel poco che posso capire, da quello che vedo, mi sembra che non sia cambiato niente. E’un Paese che aspetta. E non succede niente. Come la barba di Vincenzo D’Agostino, quel povero padre di un collega del mio ucciso dalla mafia nel 1985. Se la taglierà quando avrà giustizia, dice. E la sua barba s’allunga».
Dicono che il figlio di Ciancimino stia aiutando a capire qualcosa di mafia e politica.
«Mi viene da ridere a sapere che circola a Palermo con auto blindata e scorta, a passeggio per via Libertà seguito dagli agenti, in libreria a firmare libri. Secondo me lo fa solo per soldi».
Può dire delle cose utili.
«Ascoltiamo pure chi racconta un pezzo di verità, ma prendiamolo con le pinze quello che dice e verifichiamo. Vada per la blindata, se ha bisogno di protezione. Ma un po’ di discrezione non guasterebbe. Se temi per la tua vita, se senti bisogno di avere qualcuno alle spalle, non vai in giro ben riconoscibile, non fai vita pubblica con la blindata come fosse un taxi».
Scettico?
«Serve un po’ di scetticismo. Anzi, non un Po’, tanto, tanto ce ne vuole».
Vivresti a Palermo?
«Andai via a 3 anni. Ci sono tornato due volte in otto anni, adesso non vado da due. Sono un palermitano che la conosce poco, ma ogni voltami sembra invivibile. Conosco più la città dei telefilm. Non so se la Palermo delle fiction è reale, ma spesso è ben descritta. Quando vedo Squadra antimafia, mi sembra di vedere mio padre in azione. Cosi, comincio a guardare, poi mi alzo, apro un libro, fisso le righe ma ascolto i dialoghi., sbircio, fino a quando cambio stanza Perché poi arriva il peso, ci sto male, malissimo. Come se passassi di nuovo da Capaci. E torna il bruciore».
Felice Cavallaro