Assolti imputati processo coop rosse
Dichiarato inammissibile ricorso della procura generale
28 settembre 2013
(ANSA) – PALERMO, 28 SET – Inammissibile il ricorso della procura generale. Cosi’ la Cassazione conferma le assoluzioni degli imputati nel processo sui presunti accordi tra le cooperative rosse e Cosa nostra. Scagionati l’ex vicesindaco di Villabate, Antonino Fontana ex militante del Pci, Mario Calarco accusato di associazione mafiosa e Ignazio Potestio e il figlio Mario, Salvatore Fichera, Carmelo Spitale, Gandolfo Agliata e Andrea Caliri indagati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa. LEGGI TUTTO
Da settimane un dirigente democratico siciliano denuncia con poster itineranti le collusioni del partito coi boss. Ma è solo l’ultimo di una serie di casi ignorati
“Il Giornale”
25 ottobre 2010
di Gian Marco Chiocci
Le collusioni mafiose e il malaffare politico in Sicilia non incuriosiscono mai gli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo quando c’è da dibattere su determinate responsabilità penali e/o morali di personaggi del centrosinistra. A Report come ad Annozero, da Fazio o sul divano della Dandini, ossessionati come sono da San Ciancimino jr e da tutto ciò che porta sempre e comunque a Mangano e Dell’Utri (stranamente non più al governatore Lombardo che ora strizza l’occhio al Pd), difficilmente trovano spazio storie come quelle che raccontiamo oggi prendendo spunto dall’ennesimo j’accuse lanciato da un antiberlusconiano doc come Giuseppe Arnone, storico dirigente di Legambiente, politico di spicco del partito democratico agrigentino.
Da alcune settimane l’esponente «verde» del Pd ha dichiarato guerra all’unico candidato locale alla segretaria provinciale piddino, Emilio Messana, espressione del deputato Pd Angelo Capodicasa, colui che, secondo Arnone, ha impedito che ci fosse «una barriera all’infiltrazione mafiosa e ai comportamenti mafiosi o para-mafiosi» dentro il partito agrigentino. E l’ha dichiarata anche perché due dei più stretti collaboratori di Messana sono stati condannati per falso in atto pubblico per aver falsificato delle firme nelle ultime elezioni regionali. L’esponente «verde» del Pd sottolinea come uno dei due condannati ha dichiarato che fu proprio Messana ad avallare l’operazione. Tutto ciò, attacca Arnone,non ha impedito al segretario regionale Giuseppe Lupo, di appoggiare la candidatura di Messana. Non solo.
Secondo Arnone è stato proprio Lupo a convincere gli scettici a cambiare idea. E fra questi si annoverano uomini della corrente dell’ex presidente dell’Antimafia, Giuseppe Lumia, o veltroniani doc. Per rendere note le presunte malefatte del Pd isolano, Arnone sta girando l’isola con furgoni a cui ha appiccicato manifesti 6×3. In uno si rivolge a Bersani per dirgli che «Messana ha commesso reati e imbrogli su mandato dei suoi capi locali (…) ed è per questo che sono costretto a raccontare un contesto scellerato di imbrogli e ricatti, di violazioni penali e di statuti (…)». In un altro poster Arnone, rivolto a Lupo,non le manda a dire: «Caro Peppino, Messana andrebbe espulso dal Pd.Non possiamo essere tanto farisei da essere d’accordo con gli editoriali di Roberto Saviano sulle elezioni truccate e la democrazia violata quando i delinquenti sono berlusconiani e garantire copertura e impunità quando le lordure, le illegalità e le collusioni sono dei nostri dirigenti». Le accuse di Arnone sono devastanti: «Non posso tollerare che il mio partito stia nelle mani di chi è aduso (…) a fornire copertura e a stipulare alleanze con soggetti che ruotano attorno al mondo della mafia». Secondo Arnone, Di Benedetto e Capodicasa sono vicinissimi a Calogero Gueli, ex sindaco di Campobello di Licata, condannato in primo grado a 3 anni per 416 bis (assolto in appello) insieme al figlio Vladimiro. Fatti gravissimi, quelli denunciati da Arnone.
Fatti preceduti negli anni da rivelazioni esplosive sui presunti rapporti fra Cosa Nostra e uomini del Pci-Pds-Ds condensate nel libro «chi ha tradito Pio La Torre?»,dove se la prendeva prima col senatore Vladimiro Crisafulli (posizione archiviata) filmato dal Ros mentre parlava col boss di Enna, Raffaele Bevilacqua, eppoi con il deputato del Pd Angelo Capodicasa che a detta di Arnone aveva fra i collaboratori Stella Capizzi, moglie di Antonino Fontana, l’ex vicesindaco comunista di Villabate citato dal quel pentito Campanella che trovò invece spazio in tv per le sue accuse all’ex governatore Totò Cuffaro. E chissà che un giorno, in prima serata, qualcuno si dedichi al filone rosso della mafia e del malaffare siciliano partendo, ad esempio, da quel che disse Giovanni Brusca al processo Dell’Utri sulle stragi («la sinistra sapeva») oppure approfondisca il tema del proprietario del covo di Totò Riina a Palermo: un comunista figlio di comunista, Giuseppe Montalbano, figlio dell’omonimo deputato Pci degli anni’50. Poi si potrebbero rispolverare le rivelazioni del pentito Campanella sul centro commerciale di Villabate, di cui era investitore Carlo Caracciolo (vedi Repubblica) o anche il tema mafia/coop rosse, o addirittura affrontare la «pista interna» al Pci nell’omicidio di Pio La Torre; e magari incuriosirsi per le gesta dello «stalliere di Alcamo» Filippo Di Maria,mafioso fidato di mafiosi, factotum-giardiniere- autista del senatore del Pd Nino Papania. Solo per dire dei primi casi che ci vengono a mente. Se dovesse servire ( ma tanto non serve) offriamo gratis la nostra consulenza.
Gian Marco Chiocci
(ha collaborato
Luca Rocca)
Dal GIORNALE DI SICILIA
MERCOLEDÌ 20 OTTOBRE 2010
TRIBUNALE. Requisitoria dopo sei annidi dibattimento: la pena più alta per l’ex vicesindaco di Villabate Fontana
«Intrecci tra mafia e coop rosse» Chieste condanne per mezzo secolo
Sotto processo dodici persone. Gli imprenditori sono accusati di turbativa d’asta, per fatti su cui pende la possibilità della prescrizione.
di Riccardo Arena
Comincia con l ‘«elogio della doppiezza»: Antonino Fontana, imprenditore ed ex vicesindaco comunista di Villabate, ne avrebbe fatto ampio uso, parlando contro i mafiosi nei comizi e flirtando con loro per appalti, affari e truffe. «Era impegnato nelle battaglie civili del Pci-sostiene il pm Gaetano Paci – e poi si arricchiva con Simone Castello». Che era un altro comunista atipico, afferma l’accusa: perché oltre ad essere imprenditore era anche il postino di fiducia di Bernardo Provenzano. La requisitoria del processo «cooperative rosse» arriva sei anni dopo l’inizio del dibattimento, che ha peregrinato da una sezione del tribunale all’altra, da un collegio all’altro, fino a giungere davanti alla quinta sezione, presieduta da Piero Falcone, che vuole chiuderlo entro il mese. Ieri Paci ha chiesto oltre mezzo secolo per i dodici imputati: la pena più alta, otto anni, è stata proposta per Nino Fontana, imputato di concorso in associazione mafiosa; quattro anni e sei mesi ciascuno sono stati chiesti per Gioacchino Lo Re e Ignazio Potestio. Per tutti gli altri la richiesta è di 4 anni.
Si tratta di imprenditori accusati di turbativa d’asta, per fatti antichi, sui quali pende la possibilità della prescrizione: sono Maria Calarco, Mario Potestio, Cosimo Ragusa, Carlo Librizzi, Francesco La Micela, Salvatore Fichera, Carmelo Spitale, Gandolfo Agliata e Andrea Caliri. Tra i loro avvocati ci sono Nino Caleca, Michele Giovinco, Marcello Montalbano, Vincenzo Lo Re, Sergio Monaco. Il pm Paci ha iniziato la requisitoria partendo da lontano, illustrando la figura di Fontana, imprenditore e anche consulente di un’amministrazione comunale, quella di Ficarazzi, sciolta per infiltrazioni mafiose. Pio La Torre, nominato segretario regionale del Pci, prima di essere assassinato da Cosa nostra, il 30 aprile 1982 (con l’autista Rosario Di Salvo), si ritrovò di fronte a un’emergenza. «Occorreva fare pulizia all’interno dello stesso ha spiegato il rappresentante dell’accusa – e La Torre aveva indagato sulla vicenda delle cooperative agrumicole di Villabate, Bagheria e Ficarazzi, che erano sospettate di realizzare una serie di truffe alla Cee.
Lo stesso La Torre, che si era basato anche su una dettagliata relazione presentata dal segretario cittadino del Pci di Ficarazzi, Vincenzo Ceruso, propose l’espulsione di Fontana e di altri tre dirigenti del partito, Mercanti, Carapezza e Spatafora. Dopo l’eccidio di piazza Generale Turba fu messo sotto procedimento disciplinare Ceruso e i quattro esponenti del Pci vennero spostati e assegnati a un incarico di maggiore prestigio». Da allora, secondo Paci, Fontana avrebbe avuto un implicito via libera nel continuare a intrattenere rapporti con esponenti mafiosi: «Lui stesso ci ha detto che ne parlava male, nei comizi. Non ha spiegato però perché, come risulta dagli atti, concludeva con loro affari illeciti». Riccardo Arena