Giornale di Sicilia
6 novembre 2010
di Vincenzo Falci
ACCUSE DI MESSINA. Lo storico collaboratore nisseno. Di Vincenzo andò da Siino a Palermo per versare il 3 per cento «Quel costruttore era legato ai corleonesi»
«Pietro Di Vincenzo era una “longa manus” di Cosa nostra». Così il pentito storico nisseno, Leonardo Messina, ha etichettato l’ex presidente dell’Ance rispondendo ai magistrati della Dda di Caltanissetta. Di Vincenzo e tutti gli imprenditori legati a Cosa nostra – ha aggiunto il collaborante- non erano certo vittime di attività estorsive. Comunque, tutti erano tenuti a pagare la “messa a posto” alle famiglie di Cosa nostra che esercitavano il controllo sul territorio i n cui venivano eseguiti i lavori».
Ma il pentito ha aggiunto dell’altro sull’ex presidente dei costruttori siciliani. «E’ bene precisare – ha spiegato Messina – che Pietro Di Vincenzo non era un imprenditore comune, ma un imprenditore legato direttamente ai corleonesi».
Poi il racconto dei collaboratore di giustizia s’è spostato su un incontro in casa di Angelo Siino che sarebbe avvenuto a Palermo tra il 1988 e il 1989 – incontro fissato perla “messa a posto” di diversi lavori di Di Vincenzo. «Ricordo che all’epoca – ha riferito Messina ai magistrati – dovendo recuperare il 3 per cento sull’importo dei lavori relativi alla raccolta delle acque reflue a San Cataldo, appalto vinto da Di Vincenzo, avevo anche proposto la fornitura del calcestruzzo necessario… feci questa proposta in casa di Siino… Di Vincenzo era appena andato via dopo avere consegnato allo stesso Siino il denaro per la messa a posto di diversi lavori, di cui egli si occupava in quel periodo. Siino mi rispose che per quanto concerneva il calcestruzzo non era possibile che io provvedessi alla fornitura». E il perché, Messina, lo ha spiegata così. «Non era possibile – è andato avanti il collaborante nisseno -in quanto, secondo le “regole”, il calcestruzzo lo avrebbe fornito lo stesso Di Vincenzo, o la Calcestruzzi spa, all’interno della quale vi erano interessi dello “zio Totò”, cioè Salvatore Riina…. Di Vincenzo era tenuto a pagare la messa a posto per i lavori relativi alla raccolta delle acque reflue, solo perché eseguiva quei lavori nel territorio di San Cataldo sempre controllato da Cosa nostra e, in quel caso, da me».
Da “Nardo” Messina al collaborante gelese Emanuele Celona. II leitmotiv, però, rimane lo stesso: Pietro Di Vincenzo. E in questo caso. Celona, durante un interrogatorio, ha posto sul tappeto il pagamento di tangenti per la realizzazione della scorrimento veloce Caltanissetta-Gela, partendo dalla spaccatura tra il clan Madonia ed i Cammarata di Riesi. «I Cammarata di Riesi – è Celona a ricostruire i fatti, collocandoli tra la fine del ’99 e l’inizio del duemila – avevano difficoltà nel chiudere l’estorsione dello scorrimento veloce Caltanissetta-Gela, in quanto non riuscivano a contattare la ditta appaltante, la Di Vincenzo di Caltanissetta e, così, Daniele Emmanuello mi chiese di occuparmene personalmente». Ma un impedimento lo avrebbe costretto ad investire altri della delicata questione. «Visto che all’epoca ero sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo della firma – ha aggiunto Emanuele Celona – per contattare gli imprenditori sottoposti o da sottoporre ad estorsione, tra loro Di Vincenzo, mi avvalevo di Orazio Picceri. Nella circostanza io e Filippo Casciana, che era un mio pari reggente, mandammo Picceri a parlare con Di Vincenzo nei suoi uffici di Caltanissetta». E’ quell’incontro si sarebbe rivelato “proficuo”.
«Di Vincenzo -ha spiegato il collaborante gelese – dopo aver parlato con Picceri, e riconoscendo che la richiesta proveniva direttamente dai fratelli Emmanuello di Gela, riferiva che “lui, poiché era un amico degli amici e sapeva come si viveva, per quel lavoro poteva dare 500 milioni di lire sotto forma di regalo e non sotto forma di estorsione, dilazionando i pagamenti a 50 milioni per volta». E l’imprenditore nisseno sarebbe andato oltre. «In quella circostanza – ha concluso Celona – Di Vincenzo ha riferito a Pícceri che lui era l’aggiudicatario dei lavori per la costruzione della cosiddetta “mantellata” al porto di Gela e che, non appena avrebbe iniziato i lavori, si sarebbe messo a disposizione degli Emmanuello di Gela per eventuali… regali. Cosa che è effettivamente successa».
Vincenzo Falci