Malagiustizia: “In che mani siamo” su Libero l’elenco dei giudici “spudorati”

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Ustica. Il bidone esposto nella hall del San Bartolomeo

KLICCA Baldassare Bonura: la sorprendente richiesta di archiviazione del P.M. Ennio Petrigni venerdì, 25 settembre 2009

Pubblichiamo la sorprendente richiesta di archiviazione che il P.M. dott. Ennio Petrigni ha notificato a Baldassare Bonura, parte offesa e denunciante, poco prima dello scorso Ferragosto, dopo tre anni di indagini. Dopo avere informato il CSM e le Istituzioni competenti, di seguito rendiamo noti, ai sempre più numerosi lettori del blog, sia l’opposizione che la richiesta di archiviazione relativa al proc. Penale R.G.N.R., mod. 21, n. 10982/06 iscritto al Tribunale di Palermo nei confronti dell’ex sindaco-albergatore Ailara Vito e del nipote ex sindaco Licciardi Attilio, e contro l’avvocato Barbiera Vincenzo. Infine rimandiamo alla lettura della quarta puntata della storia liberamente tratta dalla vicenda giudiziaria di Bonura Stelle Bruciate, che bene ha pronosticato la rituale conclusione, ossia l’archiviazione, sulle ipotesi di reato, comprovate da documenti, fotografie e testimonianze, agite nel Comune di Ustica in modo continuato da più di un ventennio da amministratori-imprenditori a danno di attività concorrenti lecitamente avviate.

Ipnosi al teste e innocenti in galera.

Il campionario degli orrori togati. Non solo giudici vicini alla criminalità, come a Palmi. Breve raccolta di tutti gli errori/nefandezze del sistema-giustizia

http://www.liberoquotidiano.it/

29 marzo 2012

di Francesco Specchia

( dall’articolo a pag. 2 )

La malagiustizia in Italia è quasi un topos letterario. Sono, le sue, storie terribili, da film (o da programma tv, come il necessario e coraggioso Presunto colpevole su Raidue, che proprio del disvelamento degli errori-orrori giudiziari ha fatto la sua cifra ).

La prima storia è quella di un albergo, che intreccia 25 anni di storia sicula, compresi i rapporti vischiosi tra mafia e magistrati. L’Hotel  Villa Bartolomeo, quattro stelle, è stato fatto costruire dalla famiglia di Baldassarre Bonura nel ’79; confiscato sulla base di carte false per aver fatto gola a uomini d’onore di fede corleonese, è un caso eclatante che è arrivato alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Da un quarto di secolo la Procura di Palermo chiede di chiudere il caso contro l’imprenditore Bonura; e Bonura, a colpi di appelli, riapre sistematicamente i procedimenti, convince i giudici migliori a stare dalla sua (uno di costoro era, addirittura, Paolo Borsellino), querela per falso la pubblica amministrazione, denuncia una quindicina di magistrati  per corruzione e per omissione di atti d’ufficio – tre dei quali danno le dimissioni, altri si trasferiscono -; le sue richieste sono state recapitate e ben accolte al ministro della Giustizia, alla Dia, e al Presidente della Repubblica. L’uomo non è mai stato condannato né denunciato, semmai minacciato da ignoti assieme alla famiglia.

La seconda storia è quella di un imputato a sua insaputa. Roberto Giannoni, impiegato di banca viene portato via all’alba, in manette, dalla sua casa senza sapere – come l’eroe ignaro del Processo di Kafka – di essere stato imputato di associazione mafiosa e traffico d’armi e rapina. Lo arrestano senza alcuna prova a carico, i pm credono a un pentito.  Non ci tornerà più per sei anni, a casa; e i genitori moriranno uno dopo l’altro di crepacuore («per la vergogna non uscivano di casa. I magistrati dovrebbero chiedere scusa davanti alla loro tomba», commenta l’uomo dalla vita rubata). La terza storia racconta di Giuseppe Gulotta, calabrese, arrestato all’età di soli 18 anni e accusato di avere partecipato alla strage di due carabinieri, massacrati a colpi di pistola, per poi essere stato assolto dopo 21 anni di carcere, per non aver commesso il fatto. Sono, i suddetti, solo tre casi di vittime della mala magistratura. Certi giudici sbagliano nel grande e nel piccolo. A sfogliare, poi, i libri di Stefano Zurlo La legge siamo noi  e Prepotenti e impuniti (Piemme) l’impressione è quella che parte della magistratura produca surreali abomini. Senza fare altri nomi. Non c’è solo la vicenda classica del giudice pedofilo reintegrato con annesso scatto di stipendio; ma anche quella della di lui collega di Perugia che si mette a chiedere l’elemosina a due passi dal tribunale viene deferita al Csm, «giudicata incapace di intendere e di volere» ma per un giorno e poi, nonostante la follia, reintegrata in ufficio.

E ancora. In una città delle Marche si staglia un pm che dispone – nonostante il reciso divieto dell’art 188 c.p.p. – una seduta ipnotica cui sottoporre un teste nella speranza di afferrare quel che è stato rimosso di un delitto. A Catania, un altro togato deluso dalla freschezza del pescato locale, chiama i Nas, fa chiudere un ristorante dal quale se ne va senza pagare il conto; il proprietario del locale, dimostratata la schiettezza organolettica delle fritture, lo controdenuncia; il Csm dà il solito buffetto. In una «città lombarda» una signora ottantunenne finisce in una buca sull’asfalto e denuncia il Comune; il giudice le dà torto ma stila una sentenza fantasmagorica: «É noto che col progredire dell’età il sistema motorio e quello sensoriale perdono parte della propria efficenza». Le suggerisce, in pratica, essendo vecchia e rincoglionita, di rimanere a casa, condannandola a pagare le spese. E si potrebbe andare avanti all’infinito, tra il drammatico e il faceto a discettare di giudici che, annoiati, imbrattano gli uffici di Nutella; che dimenticano per 105 giorni gente ai domiciliari; che scarcerano, per errore e pressapochismo, il cassiere della Banda della Magliana. Secondo il saggio accuratissimo di Stefano Livadiotti L’ultracasta (Bompiani) i numeri sono  spietati. Solo nel periodo 1999-2006 parlano di 1.004 procedimenti disciplinari. 812, l’80,9%,  finiti a tarallucci e vino: con l’assoluzione o il proscioglimento. «126 con l’ammonizione, ossia un buffetto sulla guancia del magistrato. 38 con la censura, che equivale a una lavata di testa. Solo 22 con la perdita di anzianità (che si traduce in un rallentamento della carriera). Appena 2 con la rimozione e 4 con la destituzione….». Senza considerare che uno stesso giudice o pm può essere stato incolpato più volte) vuol dire che una toga ha 2,1 possibilità su 100 di incappare in una condanna. Negli ultimi otto anni a rimetterci la poltrona è stato solo lo 0,065% dei magistrati. La riforma della giustizia magari potrebbe iniziare proprio da qui. di Francesco Specchia 29.03.2012

Arrestato il gip di Palmi con l’accusa di coprire gli affari della ‘ndrangheta in cambio di squillo e bella vita

Giusti era già stato indagato ma il Csm lo aveva assolto

http://www.liberoquotidiano.it

29/03/2012

Arrestato un esponente della zona grigia tra la società civile e la ’ndrangheta. Con l’aggravante stavolta di essere un giudice, per di più «ossessionato dal sesso e dalla bella vita». E dai numerosi viaggi su modello businessman a Milano. A leggere le carte del Tribunale milanese sembrerebbe di essere di fronte a una marionetta mossa dai clan per avere uno schermo “rispettabile” e un personaggio disposto a passare informazioni e a gestire anche società che incameravano con privilegi beni che di lì a poco sarebbero stati pignorati. A finire in manette è stato ieri Giancarlo Giusti, giudice di Palmi arrestato nell’ambito di un’indagine condotta a Milano sulla ’ndrangheta. Per lui l’accusa è di corruzione con tutte le aggravanti del caso. Dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giuseppe Gennari emerge un quadro complessivo deprimente. «Le pagine di diario riportate», si legge nell’ordinanza, «sono solo una quota parziale. Ma tutte propongono gli stessi temi ricorrenti: ossessione per il sesso, per lo più a pagamento, esigenze economiche legate ad un tenore di vita sicuramente elevato, spasmodica ricerca di occasioni di guadagno».

Giusti, indagato da tempo, avrebbe ricevuto dal clan Lampada più o meno 70 mila euro e venduto la propria funzione violando i principi di imparzialità, probità e indipendenza. Il giudice nel 2005 era stato assolto dal Csm al termine di un procedimento disciplinare riguardante un immobile vinto dal suocero proprio in una gara d’asta. Dall’ordinanza di arresto di ieri emerge infatti che Giusti sarebbe stato una sorta di socio occulto degli uomini del clan Valle Lampada nel periodo in cui si occupava di esecuzioni immobiliari al tribunale di Reggio Calabria. A finire nei guai è stato infatti anche Giulio Lampada, presunto esponente della locale e “amico” interessato del giudice. I presunti mafiosi avevano creato una società italiana controllata da una svizzera con legami nei Caraibi e che si occupava di acquisire immobili. In questa società Giusti non avrebbe messo un euro, perché secondo l’accusa tutte le spese venivano pagate dal clan, ma il giudice avrebbe agito come amministratore di fatto. «Giusti fa parte a pieno titolo della famigerata zona grigia. È uno di quegli esponenti che “contano” della società civile che, per debolezza strutturale e propensione caratteriale», ribadisce il gip milanese Gennari, «accetta di entrare in un vorticoso giro di scambi illeciti con individui la cui matrice criminale è facilmente identificabile». Insomma, un pesce «fragilissimo e, per costume di vita, esposto alla tentazione di condotte illecite», che abbocca alle lusinghe del clan. Anche perchè «il beneficio di tutto ciò travalica il confine personale di Giulio Lampada», sottolinea ancora Gennari, «e porta vantaggio a tutta la famiglia, che è poi entità qui corrispondente al nucleo dell’associazione mafiosa. Il giudice Giusti è una di quelle preziose caselle, nello scacchiere delle conoscenze utilitaristiche, che amplifica la capacità di penetrazione e guadagno del sodalizio». Così funziona la criminalità mafiosa. Punta tutto sulle debolezze. di Claudio Antonelli

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