19 Luglio ’92. Caponnetto “Chi ci tradì?”

Via D’Amelio, 19 luglio 1992, h. 16.58, in un torrido e silenzioso pomeriggio estivo, loro sì che li hanno “ammazzati”: il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. La Storia oggi dopo 23 anni conferma: il giudice Borsellino era consapevole del rischio mortale che quotidianamente correva per il fatto che svolgesse onestamente e diligentemente il suo lavoro, così come aveva fatto il giudice Giovanni Falcone, e prima di loro il giudice Rocco Chinnici, e ancora il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; e allo stesso modo ciascuno degli Onesti Giudici, Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, Commissari e Agenti di Polizia e Politici uccisi perchè hanno avuto il coraggio di lavorare in Sicilia con lealtà e nel rispetto della Legge. Il loro unico “torto” comune è stato quello di confidare nella reciproca fiducia del loro contesto lavorativo, un “lusso” pagato “caro”: con la vita. Ma come disse il giudice Antonino Caponnetto: “Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino: andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili” . 

Intervista di Gianni Minà al Giudice Antonino Caponnetto.

19 Luglio ’92. Caponnetto “Chi ci tradì?”

 http://www.giannimina.it/ “Il Manifesto”  07/12/2002

E’ morto ieri mattina in un ospedale fiorentino il giudice Antonino Caponnetto. Aveva 82 anni. Aveva creato e diretto per oltre quattro anni il primo pool antimafia.

Nel luglio del 1992, dopo l’omicidio di Paolo Borsellino che aveva seguito di due mesi quello di Giovanni Falcone , all’uscita della camera ardente Caponnetto aveva esclamato con voce rotta dall’emozione “Non c’è più speranza….” Quella che segue è una sintesi di una toccante intervista realizzata nel maggio del 1996 da Gianni Minà, della serie televisiva Storie da lui stesso realizzata e trasmessa da Rai Due. L’intervista è pubblicata da Sperling & Kupfer e Rai-Eri.

GIANNI MINA’: Dottor Caponnetto, il 19 luglio 1992 quando fu ucciso Borsellino, lei era realmente convinto che non ci fosse più alcuna speranza per il nostro paese?

ANTONINO CAPONNETTO: Non fu il 19, ma quattro giorni dopo. Era un momento particolare, di sconforto. Ero appena uscito dall’obitorio dove avevo baciato per l’ultima volta la fronte annerita di Paolo, quindi è umanamente comprensibile quel mio momento di cedimento, magari non scusabile, ma comprensibile! Forse avevo l’obbligo di raccogliere la fiaccola caduta dalle mani di Paolo, e di dare coraggio, di infondere fiducia a tutti. Invece furono i giovani di Palermo a darmela con la loro rabbia, determinazione, fiducia, e capii quanto avevo sbagliato nel pronunciare quelle parole di sconforto e quanto mi dovevo impegnare per continuare l’opera di Giovanni e Paolo.

GIANNI MINA’: Lei mi ha detto “Borsellino sapeva di morire”; in che senso sapeva di morire?

ANTONINO CAPONNETTO: Ha sempre vissuto tra un possibile attentato e un altro. Dopo la morte di Falcone sapeva di essere ormai nel mirino. Alcuni giorni prima dell’attentato contro di lui aveva avuto la notizia certa che era arrivato del tritolo a Palermo e la prima cosa che aveva fatto era telefonare al suo confessore per fare la comunione: voleva essere pronto ad affrontare il grande passo in qualsiasi momento.

GIANNI MINA’: Chi decise di smantellare il pool antimafia?

ANTONINO CAPONNETTO: Non so se fu una decisione meditata, o il frutto di una sintesi su come affrontare la lotta alla mafia. So che io avevo chiesto di essere trasferito a Firenze dopo quattro anni e quattro mesi di vita in caserma soltanto per lasciare il posto a Giovanni che era l’unico per competenza, prestigio internazionale, conoscenza delle carte, legittimato a succedermi. Ma le cose andarono diversamente.

 GIANNI MINA’: Chi bocciò Falcone?

ANTONINO CAPONNETTO: Il Csm

GIANNI MINA’: Nelle persone di?

ANTONINO CAPONNETTO: Mi porto sempre dietro l’appuntino di Falcone. Da un lato aveva scritto i nomi dei presunti favorevoli, dall’altra quella dei quali dava per scontata l’opposizione. Il conteggio era a suo favore, poi ci fu quel tradimento avvenuto all’ultimo momento per cui dovette cancellare due nomi su cui contava e trasferirli nella colonna a lui contraria.

GIANNI MINA’: Me li può fare? La storia in fondo si fa anche con gli errori. Noi accettiamo la buona fede, ma vogliamo sapere chi non volle Falcone e preferì invece Meli a Palermo.

ANTONINO CAPONNETTO: Oggi preferisco sorvolare, la gente li conosce, sono descritti in tanti libri, in tanti documenti. Borsellino li definì “giuda”, quando commemorò Falcone nella biblioteca comunale di Palermo, nel luglio del 1993, dopo l’eccidio di Capaci: “Nel gennaio del 1998”, disse quella sera Borsellino, “quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere a Caponnetto, il Csm con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. C’eravamo tutti resi conto che c’era questo pericolo e a lungo sperammo che Caponnetto potesse restare ancora a passare gli ultimi anni della sua vita professionale a Palermo, ma quest’uomo rischiava, perché anziano, perché conduceva una vita non sopportabile da nessuno, di morire a Palermo, perché non avrebbe superato lo stress fisico a cui si sottoponeva. A un certo punto fummo noi stessi, Falcone in testa, pur convinti del pericolo che si correva, a convincerlo, riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Si aprì la corsa alla successione all’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo; Falcone concorse, qualche giuda si impegnò subito a prenderlo in giro e il giorno del mio compleanno il Csm ci fece questo regalo, preferì Antonino Meli.”

GIANNI MINA’: Non so se – come disse Borsellino – siano stati dei giuda, so però che chi non ha votato Falcone dopo avergli promesso la sua adesione è stato Vincenzo Geraci e so che Brancaccio, alle otto, per un impegno familiare, lasciò il Consiglio senza votare, e certamente una responsabilità morale in tutto questo c’è. Mi ricordo che il 14 marzo 1988, quando Antonino Meli prese il suo posto, negli occhi di Falcone si distinguevano chiaramente delle lacrime. Chi ha distrutto il pool antimafia, Meli o Giammanco?

ANTONINO CAPONNETTO: Ognuno ha fatto la sua parte. Meli ha contribuito ad anticipare la chiusura dell’Ufficio istruzione, non coordinando più le indagini, esautorando Falcone, emarginandolo, smembrando i processi di mafia e vanificando tutto il lavoro fatto. Giammanco ha fatto la sua parte presso la procura della Repubblica, e ha emarginato anche lui Giovanni, con anticamere imposte, umiliazioni varie che lo portarono a Roma ad accettare un incarico ministeriale per fuggire da questa tagliola palermitana. Ci sono alcune delle poche pagine rimaste del diario elettronico di Falcone che descrivono due sue giornate presso la procura della Repubblica, una vita di amarezza, di delegittimazioni continue (…)

GIANNI MINA’: Che cosa può fare un giudice quando ha la certezza che è arrivato il tritolo per farlo saltare in aria?

ANTONINO CAPONNETTO: Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un’altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.

GIANNI MINA’: Ma non c’era nessuno che lo potesse aiutare a individuare il tritolo, nessuno che lo potesse aiutare in qualche modo?

ANTONINO CAPONNETTO: Sì, Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell’attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto nei suoi confronti disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze…(…)

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19 Luglio ’92. Caponnetto “Chi ci tradì?”ultima modifica: 2015-07-19T16:17:25+02:00da aldo251246
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