Verità e Giustizia: 23 maggio 1992-23 maggio 2011

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ll supergiudice spiega il suo addio alla Sicilia “Immagino cosa si può pensare di me… ma non ho da dimostrare niente a nessuno… Ma ci vuole maturità, io ho capito che è inevitabile, non si può piacere a tutti. …La lotta alla mafia non si può fermare ad una sola stanza. Ma questo non basta, non può bastare… la lotta deve coinvolgere l’ intero palazzo. All’ opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ ingegnere. Perciò io, uomo di questo Stato, vado a Roma

 Fonte http://digilander.libero.it/osservatoriobari/f4.htm

 Repubblica – Venerdì, 1 marzo 1991 – pagina 21 ATTILIO BOLZONI

Intervista al magistrato anticosche che si prepara a dirigere l’ ufficio “Affari penali” del ministero di Grazia e giustizia

di ATTILIO BOLZONI

FALCONE: ‘ NON ME NE VADO PER PAURA’

CATANIA Il suo ultimo giorno da magistrato in servizio è volato via a duecento all’ ora sull’ autostrada che attraversa la Sicilia. E’ entrato in un’ aula di giustizia lontana dal suo bunker, come testimone ha giurato davanti ad una Corte di Assise di dire la verità, tutta la verità. Ha raccontato perché si uccide un procuratore della repubblica di Palermo, come muore per mano mafiosa un giudice onesto e senza paura. I ricordi di un sopravvissuto alle barbarie siciliane degli anni Ottanta, l’ uomo che ha dichiarato per primo guerra ai padrini, uno che sa di camminare con la morte addosso. Ma io sono un siciliano, un siciliano vero. Per me la vita vale quanto il bottone di questa giacca…. Parola di Giovanni Falcone, nato a Palermo nel maggio di cinquantadue anni fa sotto il segno del Toro. Lui parla e intanto le dita cercano il bottone della giacca grigio fumo, lo tocca il bottone, lo stringe tra il pollice e l’ indice della mano destra mentre le sue labbra si piegano in uno strano sorriso. Falcone lascia la Sicilia per un ministero dopo 12 anni di vita blindata, prigioniero delle sue investigazioni, del suo modo di fare il giudice, prigioniero nella sua città. Dell’ organizzazione denominata Cosa nostra conosce i segreti più inimmaginabili, nel silenzio della sua stanza in questi dodici anni ha guardato negli occhi migliaia di mafiosi. Per lui la mafia è un’ élite, una pericolosa élite di uomini che vogliono dominare altri uomini.

Dottor Falcone, chi è un mafioso?

Un mafioso è chi conosce il potere, cioè un uomo che capisce cosa è il potere, che ne conosce il funzionamento, tutti i meccanismi. Ma non tutti riescono a capire chi è davvero il mafioso. Io non sono riuscito a spiegarlo anche ad alcuni miei amici più intimi. Siciliani come me, palermitani come me… e naturalmente la mafia non è solo una semplice organizzazione criminale. Altrimenti sarebbe stata spazzata via, come il terrorismo.

Ma perché lei se ne va proprio adesso, perché lascia Palermo per andare a lavorare a Roma in un ministero?

Io so, io immagino cosa si può pensare di me… ma non ho da dimostrare niente a nessuno. Chi lavora sul serio non deve dimostrare qualcosa ogni giorno. Fino ad ora a Palermo abbiamo lavorato al massimo per costruire una stanza pulita, per rifinirla al meglio come può fare un muratore di grande capacità. Ma questo non basta, non può bastare. Purtroppo ci siamo accorti che serve poco lavorare alla pulizia di una sola stanza. Il problema non ha confini.

Che bisogna fare allora? Costruire un palazzo intero?

Sì, la lotta alla mafia non può fermarsi ad una sola stanza, la lotta alla mafia deve coinvolgere l’ intero palazzo. All’ opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ ingegnere. Se pulisci una stanza non puoi ignorare che altre stanze possono essere sporche, che magari l’ ascensore non funziona, che non ci sono le scale… Io vado a Roma per contribuire a costruire il palazzo.

E questo palazzo come si costruisce? Solo dall’ uffico degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia?

Innanzitutto deve essere chiara una cosa: io non ho da insegnare niente a nessuno. Ma credo comunque che da quell’ ufficio si può portare un contributo decisivo alla pulizia del palazzo. Ormai dobbiamo pensare alla grande, bisogna far capire a tutti che il problema non ha confini, non è solo siciliano, non è solo italiano. E’ arrivato il momento di costruire una legislazione europea penale comune. L’ unità economica non basta per costruire un’ Europa sempre più civile, dobbiamo guardare con attenzione agli Stati Uniti, sì agli americani, da loro abbiamo da imparare tante cose.

Stiamo parlando di lotta alla mafia, lei ha colto negli ultimi mesi segnali particolarmente positivi provenienti da qualche partito?

Il problema della lotta alla mafia ancora oggi è un problema di uomini. Non c’ è un partito del bene o un partito del male. Anche qui c’ è una trasversalità… Mi sembra che quasi tutti coloro che, al centro, hanno avuto contatti con la questione mafia non abbiano capito a fondo la dimensione di questo problema. Ripeto, non è semplicemente una questione di partiti. C’ è una trasversalità dell’ incomprensione. Ma intanto in giro c’ è tanta sfiducia. Ci sono anche giudici del vecchio pool antimafia di Palermo che non sembrano credere a questo Stato, uno Stato che non riesce nemmeno a difendere se stesso… Io, Giovanni Falcone, sono un uomo di questo Stato. Io credo alle Istituzioni. C’ è chi crede di potere aggiustare le cose dal di fuori. Ma il muratore e l’ ingegnere devono stare dentro la stanza, devono stare dentro il Palazzo.

Un Palazzo dove accadono cose strane. Il giudice Falcone che ne pensa della sentenza di Corrado Carnevale?

Su questo non dico nulla.

E sui giudici di Palermo che hanno liberato mafiosi come Michele Greco, mafiosi che non avevano neanche presentato il ricorso in Cassazione per lasciare l’ Ucciardone?

No comment.

Dottore, la scarcerazione del papa di Ciaculli è una disfatta per la giustizia italiana?

Tutti i processi nei quali non si riesce a tenere in carcere il colpevole sono una sconfitta dello Stato. Attenzione, questo è un discorso generale e vale anche per quei processi dove mancano le prove, dove gli indizi si sfarinano in dibattimento. Io penso che quando non ci sono prove certe i processi sarebbe bene neppure cominciarli.

A proposito di processi, si dice a Palermo che lei se ne va dalla Sicilia anche perché ha avuto contrasti, frizioni con il procuratore capo Piero Giammanco sui cosiddetti delitti politici… Giovanni Falcone non risponde a questa domanda. In verità, questa indiscrezione è stata smentita a bassa voce dallo stesso procuratore… E io invece adesso la smentisco ad alta voce.

I delitti eccellenti. Ma lei firmerà o non firmerà le inchieste sugli omicidi di Piersanti Mattarella, di Pio La Torre, di Giuseppe Reina?

Dipende dalla data di presa di possesso dell’ incarico… adesso comunque non sono più un magistrato che esercita funzioni amministrative… ma potrò sempre tornare. Anche a Palermo naturalmente, certo anche a Palermo. Perché no?.

Parliamo ancora di mafia. I capi dei capi di Cosa Nostra dove stanno? Sono davvero a Palermo? E’ dalla capitale siciliana che partono gli ordini di morte, è lì che si studiano e si elaborano le più sofisticate strategie criminali?

Questo è un discorso difficile, ma io mi sono fatto un convincimento. E cioè che in un certo senso conti più la Sicilia interna di Palermo centro. Nella geografia delle cosche la città di Palermo conta molto, ma fino ad un certo punto. Palermo ratifica le decisioni che vengono prese nella Sicilia interna e nei sobborghi della città. E non sto pensando soltanto a Corleone, alla mafia di Corleone. Penso alla provincia di Caltanissetta, penso a quella trapanese, luoghi dove la mafia ha in tutti i sensi un controllo capillare del territorio.

E Palermo, la mafia di Palermo?

La mafia di Palermo naturalmente ha sempre voluto contare e chi la governa non capisce perché debba essere, ad esempio, sottomessa a Corleone o ad altri centri di potere illegale.

Dottor Falcone, qualcuno in questi ultimi mesi l’ ha criticata, ha pensato che lei dopo tanti anni in una direzione avesse in qualche modo gettato la spugna. Una frenata dopo il fallito attentato dell’ Addaura…

Io devo ripetere quello che ho già detto prima, chi lavora non può dimostrare ogni giorno, per forza, qualcosa. Un uomo è un vero uomo, una persona matura quando non ha bisogno di dare dimostrazioni continue a chicchessia. Certo sarei molto contento, contentissimo che dicessero ‘ Ma quanto è bravo, quanto è bravo questo Giovanni Falcone’ … Ma ci vuole maturità, io ho capito che è inevitabile, non si può piacere a tutti. Il fallito attentato dell’ Addaura comunque non c’ entra niente….

Un’ ultima domanda: come si sente oggi, come si sente in questo momento dopo i dodici anni tormentati e straordinari che ha passato a Palermo?

Mi sento come uno che si sta tuffando in un mare in tempesta.

E questo non le fa davvero paura?

No, perché c’ è una cosa che mi conforta, che mi conforta tanto.

Cosa, dottore Falcone?

Mi conforta il nuoto, il mio sport preferito.

La Repubblica – Venerdì, 1 marzo 1991 – pagina 21

ATTILIO BOLZONI

Verità e Giustizia: 23 maggio 1992-23 maggio 2011ultima modifica: 2011-07-18T09:10:00+02:00da aldo251246
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