CITTA’ AL VOTO, di Francesco Specchia

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Orlando si aggrappa a “San Precario” nell’azzurra Palermo Sindaco da 12 anni, l’inventore dei lavori socialmente utili ci riprova. Ma le previsioni dicono Cammarata

di Francesco Specchia

da “LIBERO

Domenica 13 maggio, 2007

Palermo

Siccome – come dicono i picciotti al mercato della Vucciria – chiàcchiri nun ìnchinu a panza, con le chiacchiere non ci si riempie la pancia, il lussuoso manifesto con morettona sorridente che sussurra: “Se ami lo sport, Cammarata!” non si cura del ventre, ma pensa al resto del corpo.

Diego Cammarata, per capirci, è il sindaco uscente di Palermo, forzista, ex presidente dell’Istituto Autonomo Case popolari, in piena campagna elettorale accreditato di un inequivocabile 58% di preferenze; e oggi è al voto contro il redivivo Leoluca Orlando Cascio, come direbbe Francesco Cossiga. Il quale Leoluca, a dispetto del consenso bulgaro di quando amministrava Palazzo delle Aquile e riteneva Leonardo Sciascia “un quaraquaqua ai margini delle società civile” 20 anni or sono, godrebbe soltanto di un 40%; in quanto – secondo la felice espressione del coordinatore azzurro locale Angelino Alfano – trattasi di “sindaco fuori dal Comune”. Nel senso geografico della latitanza.

Leoluca Orlando: 60 anni, avvocato, è stato sindaco, tra le fila della Dc, dall’85 al ’90, e dal ’93 al 2000, anno in cui si dimette per affrontare la corsa perdente contro Cuffaro per la Regione.

Nel 2002 entra nella Margherita che lascia nel 2006 per passare all’Italia dei Valori, con cui viene eletto deputato alla Camera. Tenterà nuovamente di essere eletto col centrosinistra, appoggiato da 14 liste.

SPLENDIDA LATITANZA

Già, perché Leoluca, in questi anni di esilio, avrebbe sì frequentato giungle di sigle, movimenti e partiti eterogenei in Italia; e Hilary Clinton a New York; e i democratici con il sombrero per consulenze antirnafia a Città del Messico; e il cinema a Berlino come attore del film “Gezhalte Tage” (“Giorni contati”, affatto benaugurante); ma molto poco sarebbe stato avvistato tra i quartieri limacciosi della Zisa, della Kalsa, dell’Albergheria e dello Zen, nel cui campo da baseball ora brucano le capre. Ma non è questo il punto.

Il punto è che il manifesto di cui sopra non è elettorale, ma rappresenta una signora che si chiama Cammarata, che possiede un negozio di articoli sportivi e che si offre come il più geniale caso di pubblicità occulta della Trinacria occidentale. Il manifesto è il simbolo di questa chiamata alle urne carnale e rablesiana: 2.200.000 votanti in tutta la Regione, 700mila solo a Palermo con 1.464 candidati per 50 scranni nella Sala consiliare delle Lapidi; che detto così, scaramanticamente, non suona benissimo. Il manifesto – con altre centinaia di volantini abusivi (ora vietati) incollati ai pali coi faccioni dei candidati – rappresenta l’eterno e vischioso intreccio di una città nobile e lagnusa[/b]. . Che sin dai tempi del Conte di Racalmuto (nel ‘600 ricercato per omicidio ma amato dal Sant’Uffizio), del Prefetto Mori e dell’eterna lotta alla mafia è un sigillo antropologico.

Diego Cammarata: 56 anni, avvocato, è il sindaco uscente, eletto nel 2001, anno in cui diventa anche deputato con la Casa delle libertà. Prima di entrare in Forza Italia è stato presidente dell’Istituto autonomo case popolari. Si ripresenterà con il centrodestra, appoggiato da 12 liste.

Il manifesto invade la città, ossessivo come la ricotta nei cannoli di Monreale e il complemento oggetto qui abbinato al verbo intransitivo, tra un baciamo le mani a vossia e un vasa vasa sulle guance. Il manifesto svetta in centro a piazza Croci, tra le ville liberty griffate Ernesto Basile in via Libertà, a Settecannoli, al Brancaccio, alle pendici della Favorita; perfino nei pressi dell’infernale sottopasso di Viale Regione Siciliana, dove i lavori in corso impediscono alle soprelevate di schiudersi dall’epoca dei Normanni. E il manifesto, in fondo, lacera il torpore di una sfida elettorale che senza il ritorno di Orlando, sostituto innaturale per l’Unione di Alessandra Siragusa, e di Vladimiro Crisafulli detto Mirello (carniere di voti in odore di mafia e poi prosciolto) sarebbe stata scontata. Gli schieramenti nella trincea dell’urna sono ben delineati. Cammarata è sostenuto da Cuffaro, uomo da 50mila fedelissimi; e dai Miccichè, specie Gianfranco, che vantò nel 2001 cifre elettorali da cappotto; e dai Musotto, specie Ciccio, presidente della Provincia promesso sindaco quando Cammarata sarà deputato; insomma, dalla casta delle grandi famiglie borghesi rampine “che, dopo essersi strusciate per anni con mafia e mezzamafia, finisce sempre per cercare uno scudo che la rnetta a riparo dalle brutte sorprese, soprattutto giudiziarie; questa gente rappresenta il ventre sacro della città, ha periodicamente bisogno di un lavacro collettivo”, spiega al Foglio Santino Carabillò, docente di Filosofia della Storia. Non ha torto.

Dall’altra parte si staglia il revanant Orlando. Il quale, grazie all’anomalia tutta sicula del voto disgiunto candidato-lista, torna ad ammaliare l’orda dei 7.000 Lsu, i lavoratori socialmente utili precari nell’anima da lui creati anni fa. Alcuni dei quali – in verità – assunti dalla Cdl “per enumerare tombini e feritoie dei marciapiedi che permettono il deflusso delle acque piovane”, dice l’informatissimo sito LaTuaVoce.it. O per guidare autoambulanze senza patente. Qui, d’altronde, l’ingresso in una municipalizzata è un rito, un’ordalia sublimata dalla trojka dc Ciancimino-Lima-Gioia quando arrernbava nel mitico “sacco di Palermo”, la lottizzazione selvaggia anni ‘70 che ridusse la zona ovest della città in una prateria di cemento e Punta Raisi a un aeroporto per acrobati: il mare da una parte e la montagna dall’altra. Poi ci sono i partitelli che vivono solo nello spazio di un ballottaggio, come L’Altra Sicila, o il Pdlm, il partito degli Italiani nel Mondo che si sfancula con l’omologo di Sergio Di Gregorio.

RITI E VOTI DI SCAMBIO

Come negli scritti di Tomasi di Lampedusa, a Palermo non cambia molto. La Procura indaga su compravendite di 40 euro a voto (80 se ne porti un altro, come nelle offerte Sky); a via Ammiraglio Rizzo, cantiere mai aperto di case virtuali da 15 anni, i senza casa s’incazzano e talora occupano le cattedrali; la metropolitana è un’utopia intermittente; Moody’s evita accuratamente di occuparsi del rating cittadino. E i due principali attori di questa commedia elettorale si contendono la realizzazione del “Prato del Foro Italico, del tram, dei cantieri culturali, della riduzione delle tasse…”. La sensazione è che vogliano convincersi, ancora una volta, che – come diceva Benigni in “Johnny Stecchino”- il vero problema di Palermo rimane, fortemente, il traffico.

Francesco Specchia

CITTA’ AL VOTO, di Francesco Specchiaultima modifica: 2007-05-13T20:01:00+02:00da aldo251246
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