Tratto da Libero
18 Aprile 2010
GIUSTIZIA E POLITICA
L’inchiesta
Tra giudici, Riina e complotti nell’hotel che fa gola alla mafia
dall’ inviato a Palermo
FRANCESCO SPECCHIA
Questa è la storia di un albergo. Una storia che parte da piazza Vittorio Emanuele Orlando – sede, negli anni ‘ 80 del già palazzo dei veleni del Corvo -, attraversa la Sicilia oscura, delinea la necessità del processo breve e traccia una mappa delle connessioni mafiose degli ultimi 25 anni. Una specie di Vaso di Pandora da far scoperchiare ai pm di buona volontà.
Dall’inizio. Nel ’79 un imprenditore, Baldassare Bonura, 57 anni oggi, ha l’arditezza, assieme ai fratelli, di costruire un albergo nella terra d’origine, l’isola di Ustica. L’Hotel Villa Bartolomeo è un quattro stelle: stucchi, arazzi e camere sul golfo; s’avvia con clientela signorile e vip. L’albergo comincia a fare gola a boss mafiosi e locali come l’ingegner Giuseppe Montalbano, prima consulente e poi creditore del Bonura, nonché prestanome del patrimonio di Totò Riina che nella latitanza domiciliò proprio presso villa Montalbano al centro di Palermo. Montalbano fu poi incriminato da Giovanni Falcone e condannato per mafia. L’albergo, si diceva. Dato il promettente avvio del business, interviene l’allora sindaco dell’isola, Vito Ailara, la cui madre è proprietaria della pensione vicina; e attraverso un inesistente verbale di sopralluogo, dichiara il San Bartolomeo costruito oltre la scadenza delle licenze, e lo si fa fallire. Bonura, prove in mano, denuncia il disegno criminoso alla Procura di Palermo. Che archivia. Per quattro volte di seguito.
Bonura fa riaprire, ogni volta, il caso; tra un’istanza e l’altra riceve minacce di morte a moglie e figli, lo pedinano, gli rubano l’auto, la prendono a sprangate e la lanciano contro un muro, avviso a non incaponirsi troppo. Con tutti i gravi problemi da cui è afflitta la Procura, i pm, “paternamente” gli dicono che “è sfortunato” e gli consigliano di lasciar perdere: «ascolti, prenda meglio i piccioli, picca maledetti e subito…». Ma all’imprenditore dà ragione, con un atto inconfutabile, il giudice istruttore, un brav’uomo rispettoso degli uomini e della giustizia: Paolo Borsellino (con un’ordinanza del 25 luglio 1983) che accusa il sindaco, ma che in seguito verrà ucciso nel noto attentato mafioso.
Da lì, anno dopo anno, per Bonura inizia un calvario fatto di sette procedimenti giudiziari in corso in cui lui stesso è parte lesa. Un inferno di cavilli, passaggi di competenza tra magistrati, ricusazioni dei giudici che si trovano, molte volte, ad avere parenti e amici parti attive nel processo. Il procuratore aggiunto Paolo Giudici nella sua ennesima richiesta di archiviazione afferma addirittura che l’albergo non fu mai costruito. Il giudice fallimentare Giuseppe Barcellona decide il fallimento in base a un’istanza presentata dall’avvocato della Cassa di Risparmio Girolamo -Jimmy- Bongiorno, padre della più famosa Giulia oggi consigliere giuridico di Gianfranco Fini. Solo che l’avvocato Bongiorno è cognato dello stesso Barcellona, il quale non s’avvede dell’obbligo morale e giuridico sul conflitto d’interessi, appone i sigilli all’Hotel e alla società di gestione. Barcellona viene ricusato, si mette in malattia e chiede di essere sostituito dal collega Di Cola, che molla il colpo; gli succede Armando Dagati ed è un tourbillon continuo di giudici che si passano la patata bollente.
RAFFICA DI DENUNCE
Bonura denuncia molti dei magistrati della Procura. In Sicilia nessuno lo accusa di diffamazione o per calunnia; ci provano solo -chissà perché – dal Tribunale di Udine, ma la querela è subito ritirata. E mentre scava nel suo caso, assistito da due avvocati che sono invecchiati con lui, passano venticinque anni. Un quarto di secolo impaludato nelle carte bollate. «Siamo in Sicilia, qui nulla è paradossale. Lo scandalo è che non vogliono indagare, e sotto Ustica c’è una commistione internazionale», afferma il suo storico legale Giulio Donzelli con studio a Roma «qua c’è un tizio che è prestanome di Riina che dice a un neo albergatore: “o mi dai un tot del tuo albergo, o ti faccio vedere io. Dopodichè, al di lui rifiuto va da un principe del foro che gli fa fare istanza di fallimento tramite il cognato magistrato. L’istanza copre l’appropriazione dell’immobile da parte del Comune, il quale falsifica un verbale di sopralluogo, che mette d’accordo, guarda caso, tutti gli albergatori della zona, compreso il sindaco. Indaga il giudice istruttore, Borsellino che dà ragione a Bonura. Borsellino poi viene ucciso …». Bonura non demorde. Scavalca i gradi di appello, e scrive più volte al Presidente della Repubblica Napolitano, il quale lo ringrazia ogni volta e invia gli atti al Csm; ma ogni volta l’inchiesta s’incaglia. Parallelamente alle denunce penali prosegue, in modo grottesco, il fallimento. L’altro avvocato del Bonura, il giovane Filippo Lipiani è sconsolato: «C’è una persona sotto processo da 25 anni non può vedere le carte del suo fallimento. C’è l’art. 111 della Costituzione sul giusto processo, c’è il diritto processuale, ma il giudice rigetta sempre l’istanza, dicendo: se vuoi reclamare indicami su quali atti; ma se non h conosco, gli atti, come faccio ad indicarli? Tenga conto che il curatore fallimentare stesso è indagato dalla Procura della Repubblica di Palermo per omissione e mala gestio. Lo scandalo è che i giudici ricorrono sempre all’archiviazione».
Bonura è pure ricorso alla legge Pinto per irragionevole durata della procedura fallimentare; il ricorso è stato fatto alla Corte d’Appello di Caltanissetta, che ha chiesto la trasmissione del fascicolo da Palermo. Ma il fascicolo non viene trasmesso per intero: arrivano solo 300 dei 20mila documenti. Ma da Caltanissetta, essendoci il coinvolgimento di giudici palermitani colà operanti, il caso è passato alla Procura di Cagliari, che ancora non si pronuncia.
PAURA DEI TESTIMONI
Il caso dell’albergo usticese s’identifica nelle aule di mezza Sicilia col “procedimento penale n. 10982/06”, un livido incubo delle Procure. Una volta che il Gip palermitano Piergiorgio Morosini il 23/11/2009 ne rigetta la richiesta di archiviazione da parte della Procura di Palermo, chiedendo ulteriori indagini dando sostanzialmente ragione a Bonura , il testimone a favore del Bonura, Salvatore Russo all’improvviso, viene svegliato nella notte. Dopo 5 anni d’attesa se ne richiede la convocazione, con notifica prodotta in due ore. Russo non solo non si presenta a testimoniare, ma si tappa in casa «al fine di salvaguardare la propria incolumità e quella della propria famiglia»; e chiede direttamente di «rendere la propria testimonianza alla Direzione Nazionale Antimafia». II testimone ha paura dei magistrati.
E lì la ragnatela s’infittisce . La vicenda dell’hotel è una Matrjoska che, dai tempi del sacco di Palermo, passando per le stragi degli anni 90, all’odierna Cosa Nostra dei colletti bianchi, contiene decine di altri casi concatenati fra loro; e disegna una mappa dei rapporti con l’ambiente mafioso. Evitiamo di fare troppi nomi di giudici. Ma nel procedimento penale che il Gip non archivia e per il quale chiede ulteriori indagini, di magistrati ne sono stati denunciati molti. Ogni volta chiedono l’archiviazione. E Bonura ogni volta (l’ultima due settimane fa) si oppone. Alcuni magistrati che hanno incrociato l’albergo sono noti. Giuseppe Pignatone, oggi procuratore capo a Reggio Calabria, per primo archiviò il caso Ustica. Nell’85 gli fu consegnato un nastro sigillato alla Procura di Palermo su cui era registrata una conversazione telefonica di Montabano trascritta dal GiCo e mai inspiegabilmente contestata dalla Procura al medesimo mafioso fino al 1994. Lo stesso Montalbano riferisce che Pignatone nel corso del suo interrogatorio non fece «alcun rifermento alla telefonata estorsiva». Eppure da quella telefonata – da noi ascoltata – si evincono le minacce. Ah, tra i denunciati si distingue il curatore fallimentare per false dichiarazioni al pm e per abuso di potere. Dopodichè, nella vicenda dell’ hotel maledetto sono stati oggetto di denuncia anche altri magistrati: molti han fatto brillanti carriere. Altri l’hanno solo incrociato, come Roberto Scarpinato, di Palermo, candidato Procuratore generale, noto per aver sequestrato i beni dei Sisa, i “supermercati della mafia” attraverso i quali l’imprenditore Paolo Sgroi riciclava i soldi di Provenzano.Scarpinato il 26 ottobre 2006 sequestra i beni di Sgroi. Ma già nel 2003 fu proprio il privato cittadino Bonura a denunciare Paolo e Angelo Sgroi (consulenti del solito Villa Bartolomeo, che tentarono di acquistare alle aste giudiziarie) alla Procura di Palermo e alla Guardia di Finanza. Prove alla mano affermava che i fratelli fossero “prestanome della famiglia Pipitone -mafiosa di Carini”. La Procura si distrasse, la Finanza no, e arrestò Sgroi. C’è molto altro, ci vorrebbe un libro.
INTRECCI DA SPY STORY
Negli anni Bonura si trasforma in editore, denuncia e anticipa arresti illustri e sul sito Internet www.latuavocelibera.it. Riceve migliaia di email di sostegno. «Ma sulle indagini per reati di mafia sui soggetti denunciati, cala il silenzio», afferma lui che aveva iniziato la battaglia quand’era un ragazzo. Oggi il suo caso ha fatto scuola. Tre mesi fa due altri imprenditori, Rosario Lucido e Antonio Brasile, dopo esser stati vittime di truffe e avendo assistito impotenti a sentenze contraddittorie con richiesta di archiviazione da parte delle Procura denunciano la stessa pei inerzia. L’avvocato è, come da tradizione, il vecchio Donzelli di Roma. L’aria di Sicilia non fa bene alla giustizia.
FRANCESCO SPECCHIA