“Libero”. Santoro ci imbavaglia. Poi ci processa, di Francesco Specchia

logo-libero-news.jpg
24 Settembre 2010
LA RAI DEL CHIAGNI E FOTTI

Senza contraddittorio contro la Rai e la stampa rivale

Al via Annozero: il conduttore, Bocchino e Di Pietro accusano Libero. Quindi l’attacco all’azienda che lo manda in onda e lo paga

dalla prima dì FRANCESCO SPECCHIA

S’intitola “Scacco matto”, 1’Annozero del nuovo esordio. Come il titolo originale di una novella di Ellery Queen (o di Edgar Wallace, o di Willcie Col­lins, non ricordiamo bene). Roba assai cinemato­grafica. Ci sono gli elementi sparsi da detection, per lo spettatore che deve in­dagare come nel gioco del Cluedo; c’è una pregevole esegesi della “patacca” documentale; c’è il coinvolgimento di Gaucci e dei Servizi segreti. C’è l’attacco poli­ziesco ai vertici Rai da un pro­gramma Rai. C’è, perfino, Grillo che parla in camera di voti rubati alla sinistra e pontifica (bene) co­me Charles Laughton nel cult “Te­stimone d’accusa” di nuove Woodstock. Molto cinema, ap­punto. Ma la politica, in questo Annozero è rarefatta.

L’architettura della puntata, la sua semantica stessa, si basa sull’analisi del documento carai­bico – la lettera rubata – che confer­merebbe la proprietà monegasca di Gianfranco Tulliani. Apre l’in­viato Corrado Formigli che disse­mina indizi: «la lettera-bomba è talmente importante che il gover­no di Santa Lucia, sede dei paradi­si fiscali non ha dato nessuna con­ferma». Formigli è paraculesca­mente bravo. Insinua il dubbio, evoca l’ardito cambio delle stam­pe, cita l’articolo del Giornale sulla pista dei servizi segreti italiani, ri­mesta sulle telefonate ai governo di S.Lucia. Però tutta questa ecci­tata sceneggiatura parte dagli arti­coli dei “quotidiani del dossierag­gio”, ossia Il Giomale e Libero, “vi­cini al premier”, sui quali legitti­mamente si spara da ogni angolo (Di Pietro e Bocchino i più tonanti in studio); ma – piccolo particola­re- nessun giornalista delle sudette testate citate è invitato in studio. E questo, onestamente, è meno legittimo. Specie per noi di Libero.

Il resto scorre. Aldo Cazzullo che parla di «scontro istituzionale senza precedenti tranne in Fran­cia. Direi che siamo alla fine»; am­mettendo, però, onestamente «non credo che Berlusconi abbia confezionato il documento, qualcun’altro magari sì». Bocchino molto disinvolto (ormai vive in tv …) che riesamina gli indizi sul “giallo del dossieraggio”: «ci sono errori uguali in due documenti di­versi, entra di mezzo Gaucci il cui avvocato è Previti»; che richiama gli spioni, il Copasir e svela fanta­stici intrecci tra i rotaryani dei Ca­raibi e palazzo Chigi, col racconto dei lobbysti illustri che andavano nei festini brasiliani. Soprattutto Bocchino ce l’ha con l’etica di Pa­telli, “il pirla della Lega che si pren­deva i soldi”. Il tutto con lo sguar­do di Fini molto fanè che rincorre il mega screen avvolgente lo stu­dio. L’unico a resistere all’assalto romanzesco è Roberto Castelli «questo è un giallo, che se fosse scritto su un libro sarebbe di quat­tro pagine»; ma si districa male. Salvo recuperare sugli emenda­menti sulla giustizia e sulla politi­ca estera. L’unico tema politico decente lo sbandiera Di Pietro che attacca Fini per farlo votare contro Berlusconi; ma poi dice pubblica­mente che voterà la mozione con­tro Minzolini e contro il plurali­smo che non c’è. Eppure qui in studio, sul sistema politicizzato di viale Mazzini, s’è sparato abbon­dantemente. E siamo in Rai. Para­dossale cortocircuito dall’interno. Il tocco populista e un po’ po­polare spetta a Ruotolo, che si col­lega dallo stabilimento navale di Castellamare di Stabia. Molto santoriano. Travaglio in gessato (staccato) monologheggia sul lo­do costituzionale e sul legittimo impedimento, su Cosentino. Massacra perfino i finiani, in pro­cinto di votare tutti gli scudi possi­bili per le pubbliche cariche («In Francia il modello francese non lo conosce nessuno, lo chiamano il modello italiano…»). Il finale del giallo è aereo; non abbiamo capito chi è il colpevole… FRANCESCO SPECCHIA

Lo show del conduttore

Michele Fantozzi si fa qualche bicchiere di troppo

FRANCESCO BORGONOVO

Annozero può cominciare. E figurati se non ricominciava con il consueto assalto contro il terribile regime capeggiato da Sil­viuccio nostro. Il quale regime, va ripetendo Michele Santoro da giorni, non vuole proprio consentirgli di andare in onda: l’azienda Rai lo lascia solo, il contratto di Marco Travaglio non è stato firmato, il presidente di Viale Mazzini Paolo Garimberti non si preoccupa dei detta­gli della trasmissione… C’è così tanto ostraci­smo da parte della dittatura che il conduttore con i ricci si è potuto ripresentare tranquilla­mente in video ieri sera. Concedendosi per al­tro uno dei suoi memorabili show.

La messa santoriana è cominciata con una lettura dal Gran libro delle Lamentazioni di San Michele martire. Il suo editoriale è una estenuante filippica sullo stile di quelle pro­dotte nelle ultime puntate della scorsa stagio­ne. Ce n’è per la Rai, per Silviuccio nostro, per il pubblico, per gli imprenditori. Michele spa­zia dalla teologia (dove l’unico dio è lui) alla fi­losofia, atteggiandosi a vero liberale. Ormai il suo riferimento non è più il pubblico, lui si ri­volge direttamente alle massime autorità, in quanto rappresentante – parole sue – «di quel pezzo di opinione pubblica il quale pensa che (uguaglianza, la dignità del lavoro e la diver­sità delle idee siano importanti». Insomma, sarebbe il leader della sinistra, e questo lo sa­pevamo già. Ieri sera, però, ha voluto strafare e si è lan­ciato in una serie di paragoni illustri. Il primo con il presidente della Camera. Santoro so­stiene infatti di essere «antipatico» al premier perché egli «non sopporta quelli che gli stan­no in piedi davanti, come Gianfranco Fini». E uno.

IL RAG. SANTOZZI

Poi il paragone con il ragionier Ugo Fan­tozzi. Poiché, poverino, Michelone si è dovu­to presentare – guarda un po’ – di fronte al di­rettore generale della Rai Mauro Masi: «Sono dovuto andare dal megadirettore, come Fan­tozzi». Già, perché nell’idea del giornalista riccioluto se uno lavora per un’azienda, pub­blica per di più, non deve rendere conto del suo operato ai vertici, ma ha il diritto di fare quel che gli pare. Infine, il momento magico. La grande me­tafora di Michele, che ha cercato di buttarla sulla libertà di pensiero e, soprattutto, sul li­bero mercato. Questa sera, ha detto Santoro, «vorrei parlare con quelli del PdL che sono i più accaniti fan del presidente del Consiglio, quelli a cui sto più antipatico. Vorrei parlare con quanti fra loro sono uomini d’azienda. Anzi, mi rivolgo direttamente a uno di loro. Faccia finta che io sia un suo dipendente, un disegnatore di bicchieri». Straordinario, sia­mo arrivati all’apice della genialità: San Mi­chele martire sforna la “Parabola del produt­tore di bicchieri’. E spiega che ha prodotto, grazie al suo talento, «14 milioni di curo di fat­turato e solo 27 milioni di costi. Significa un guadagno di 14 milioni di curo».

PREDICARE BENE…

In sostanza, vuol dimostrare che l’azienda pubblica con lui ci guadagna eccome. Vero, ma a che prezzo? Presto detto: fargli dire quel­lo che gli pare e usare i mezzi che vuole. Infat­ti, subito dopo Santoro riprende con l’elenco di ciò che non va. Dice: non mi fumano i con­tratti, mi mettono i bastoni fra le ruote. Gua­dagnano con i miei bicchieri ma mi impedi­scono di produrli come si deve. Ed ecco il do­mandone per l’ipotetico imprenditore del PdL: quale azienda rinuncerebbe a produrre bicchieri che valgono così tanto? Nemmeno Mediaset, dice Michele, perché là vogliono guadagnare. In un colpo solo, il giornalista più piagnone del mondo riesce a lamentarsi che le cose non vanno come pretende, che la tivù pubblica è orrenda, che il presidente del Consiglio lo odia, che la sinistranon lo appog­gia, che i suoi amici sono in difficoltà. E con­temporaneamente ci viene a spiegare il libero mercato. Poi, come per magia, il Gran Libro delle Lamentazioni si chiude, la parabola dei bicchieri giunge al termine. E Annozero può cominciare, di nuovo, sempre uguale come tutti gli anni. Magari, per la prossima puntata, consigliamo a Michelone nostro di stare at­tento ai bicchieri. Ieri sera ne aveva qualcuno di troppo sulle spalle. Gli effetti si sono visti. FRANCESCO BORGONOVO

“Libero”. Santoro ci imbavaglia. Poi ci processa, di Francesco Specchiaultima modifica: 2010-09-24T18:44:00+02:00da aldo251246
Reposta per primo quest’articolo
Questa voce è stata pubblicata in ARTICOLI, POLITICA, ultimissime e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

Una risposta a “Libero”. Santoro ci imbavaglia. Poi ci processa, di Francesco Specchia

I commenti sono chiusi.