La fiducia al Senato è venuta a mancare, anche, per i voti contrari dei Grandi Vecchi per evitare che lo scranno ricevuto per pensione diventi troppo scomodo, qualora, forse, si profilasse all’orizzonte qualche commissione d’inchiesta, insieme a qualche mente illuminata troppo di sinistra, per far luce sulle stragi che in un cinquantennio di Repubblica democratica hanno causato vittime e dolore, prime fra tutte le persone innocenti morte nel cielo di Ustica che ancora chiedono una giustizia giusta. C’è da chiedersi quanto sia democratico un Paese che per governare debba ancora contare, tra gli altri, sul voto di un senatore a vita processato per associazione mafiosa e poi assolto “perché il reato è andato prescritto”, e che nonostante ciò ancora pesa gravemente sull’indirizzo politico italiano.
Allora forse è stato bene cadere in piedi per rialzarsi velocemente per prevedere gli ostacoli e parare i colpi, e per tornare a governare scongiurando il ritorno del centro destra, che, nel suo mandato, logicamente, non ha mai avuto conflitti interni, legiferando su leggi ad personam, alleggerendo i reati di frode fiscale e di falso in bilancio, delegittimando la magistratura ogni qualvolta iniziasse ad indagare, ed evitando strategicamente di discutere e risolvere “il conflitto d’interesse”. In questi giorni, spostando come sempre l’attenzione altrove, e cercando il facile favore populistico, questa destra ha suonato la grancassa “dell’antimericanismo di sinistra” leggendo la storia a senso unico. Sarebbe cosa buona e giusta consigliare all’Onorevole Berlusconi, e ai suoi fedeli, benché si conosca la sua innata allergia a giudici e processi, di seguire con attenzione i procedimenti riaperti presso la Procura di Palermo sulla “strage del pane” avvenuta in Sicilia, ad Acate, tra il ’43 e il ’45, durante lo sbarco degli americani, tra cui c’era un sergente, oggi imputato più che ottantenne, che risponde dell’accusa “di violenza con omicidio di guerra pluriaggravata e continuata” per aver ucciso militari italiani che avevano dato la resa, di cui tratta l’interessante articolo di Lino Buscemi pubblicato su Repubblica Palermo (23/02/2007). Sarebbe opportuno che nei libri di scuola si cominciasse a leggere che gli “alleati”, oltre a distribuire gomma americana e cioccolata, in più di un episodio non esitarono a liberare l’Italia sparando spesso su gente inerme ed affamata, evitando poi processi e indagini. Grazie all’insistenza dei familiari delle vittime, e la testimonianza degli anziani testimoni oculari, ora la Procura palermitana indagherà e disporrà anche accertamenti su altri episodi di vere e proprie esecuzioni illegittime su cui non si è mai voluto indagare. C’è da sperare che si voglia far luce al più presto anche su tutte le responsabilità che gli “alleati” hanno avuto, in tempi recenti, su incidenti aerei che hanno mietuto vittime tra i civili italiani, come pure i morti della funivia che pochi anni fa fu travolta da un aereo militare americano in ricognizione sui monti innevati pieni di turisti. Un altro argomento caldo che potrebbe avere inciso sulla crisi del governo Prodi è l’irrisolto contrasto tra “dico si, dico no” in merito alla configurazione giuridica delle convivenze che tanto allarmano parrocchie, chiese e Vaticano. Occorrerebbe riflettere, allora, oltre che sull’eterogeneità della società laica italiana, anche sulle attuali contraddizioni interne alla Chiesa.
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Non a caso oggi il mondo clericale se da una parte viene richiamato dagli stessi alti prelati a “stare attenti all’uso politico della fede”, dall’altra è costretto a fare i conti al suo interno con lo scandalo mondiale dei processi per pedofilia a carico di ex cardinali americani e austriaci, e di sacerdoti messicani ed europei, costati ad oggi alle casse vaticane un miliardo di dollari, e l’orlo della bancarotta delle diocesi insieme ad ipoteche bancarie per far fronte ai risarcimenti milionari per le vittime degli abusi. Sui gravi fatti si era, tra l’altro, pronunciato lo stesso Pontefice Ratzinger quando, ancora cardinale, nell’omelia della Via Crucis del 2005, denunciò, con grande atto di umiltà e obiettività, “le troppe incrostazioni” e “le zizzanie e sporcizie che minano la traballante navicella della Chiesa” (Repubblica 29/10/2006). E già durante il Pontificato Wojtyla alcuni cardinali, in seguito alle indagini a loro carico, furono allontanati dall’America e mandati in alcune diocesi italiane, mentre ad altri fu consigliato di ritirarsi in convento. A queste preoccupazioni c’è da aggiungere, poi, che la famiglia, religiosamente intesa, è in profonda crisi, sia per gli annullamenti e i divorzi, che per “una fede fai da te” professata in larga parte dai credenti in modo personalistico. Eppure se da una parte, col beneplacito della Chiesa, sarebbe semplicistico e riduttivo sciogliere il nodo delle convivenze dicendo “ognuno si lavi i panni sporchi in casa propria”, dall’altra sarebbe errato sottovalutare la indiscutibile valenza storica del Patto sancito tra Stato e Chiesa che ne segnò la reciproca presa d’atto dell’assunzione di responsabilità di scelte politiche e sociali fatte nel recente passato, un atto ufficiale da cui ricominciare a governare sui piani paralleli della politica e della fede sull’impianto del sistema democratico. Nei fatti, però, non si può non riconoscere che gli orientamenti del Vaticano sono presenti nella politica italiana attraverso uomini e partiti, allora sarebbe politicamente corretto che questi ammettessero con coerenza di contare sul bacino dei voti dei più o meno ferventi credenti, e che argomentassero meglio le tesi su un dibattito che alla fine non esiste. L’istituto della famiglia è tutelato dalla Costituzione, niente e nessuno può quindi attentare alla configurazione giuridica dei diritti sanciti. Sarebbe, allora, allo stesso modo altrettanto democratico riconoscere anche agli “infedeli” senza famiglia uno spazio civile definito da diritti e doveri. In attesa che il Parlamento riconfermi la fiducia al governo Prodi, occorrerà valutare anche i nuovi scenari che si stanno aprendo in questi giorni sul fronte della politica estera, e le posizioni che i governi europei stanno assumendo nei confronti dei conflitti mondiali, visto che l’ Inghilterra si sta predisponendo al ritiro del contingente dall’Iraq, mentre la sinistra in Spagna spinge sul governo Zapatero per lasciare l’Afghanistan, non tralasciando di vagliare quali e quanti cambiamenti apporteranno le prossime elezioni americane sulla scena politica internazionale. Fiumi di denaro, e purtroppo di sangue, stanno scorrendo da anni su trattati e documenti politici, e, il rischio è che, pur ritenendo legittimo l’impegno dei paesi dell’Onu volto al mantenimento dell’equilibrio internazionale e della pace, si stia perdendo l’unica guerra che val la pena combattere: quella contro la fame. Secondo l’ultimo rapporto Fao sarebbero a rischio di morte per malnutrizione 854 milioni di persone. Mentre industrie e banche hanno contribuito a costruire armi e mine antiuomo, si è persa la scommessa di dimezzare il numero dei denutriti che rispetto a dieci anni fa è invece aumentato di 26 milioni di unità, cifra che è destinata a salire dal momento che dai paesi ricchi all’Africa, all’America latina e a buona parte dei paesi del Medio Oriente sono arrivate solo belle promesse. Rompere con l’usurata politica italiana, dissipando una volta per tutte le ombre del compromesso e del trasformismo, sarebbe già un sintomo di buon governo, l’auspicio è che tutte le parti del centro sinistra si impegnino, sul piano della politica interna, a garantire quella stabilità indispensabile in questo momento per il Paese e per i cittadini, e sul piano internazionale condividendo l’impegno a diminuire i costi per la spesa militare in favore di più costruttive opere umanitarie, vero simbolo di libertà e democrazia per quei popoli che intanto rimangono sotto il tiro incrociato della fame e delle armi. va.pt.
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