Ciancimino jr: “Binu” latitante andava a casa di mio padre

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Vito Ciancimino ex sindaco di Palermo insieme al figlio Massimo

Immagine tratta da http://www.repubblica.it

Il figlio dell’ex sindaco: Provenzano si muoveva in Italia e all’estero  come se disponesse di un salvacondotto

MILANO.La corte del processo Gotha in trasferta per ascoltare la testimonianza di Massimo che da mesi sta collaborando con i magistrati.

Tratto dal GIORNALE DI SICILIA, Domenica, 3 maggio 2009

di  Riccardo Arena INVIATO del Giornale di Sicilia a Milano

Si presenta davanti ai giudici come lo scavezzacollo di fami­glia, senza vergognarsene: Massimo Ciancimino raccon­ta degli incontri del padre con i boss e, fino al 2002, pure con Provenzano latitante.

Si presenta senza vergo­gnarsene come lo scavezzacollo di famiglia, l’unico che tra i fra­telli non volle studiare e che per questo fu «condannato» a fare da autista o da portiere al padre.

E il padre non era una persona qualunque: era Vito Ciancimi­no, ex sindaco di Palermo, con­dannato per mafia e corruzio­ne, che a casa o altrove riceveva e incontrava mafiosi di ogni ti­po, da Bernardo Provenzano a Totò Riina, da Nino Cinà a Pino Lipari, da Franco Bonura a Masi­no Cannella, ai fratelli Buscemi.

Il fior fiore di Cosa nostra, rac­conta Massimo Ciancimino, passò davanti ai suoi occhi, da quando era un bambino fin qua­si ai giorni nostri, al 2002, quan­do un Provenzano super-ricer­cato si muoveva con grande di­sinvoltura, andando a incontra­re a Roma il proprio delfino, don Vito.

A Milano, al processo Gotha, nella sua prima deposizione pubblica da quando ha iniziato a rendere dichiarazioni, Cianci­mino junior è chiamato dal pm di Palermo Nino Di Matteo a spiegare se Provenzano non te­messe di poter essere individua­to, spingendosi fino all’apparta­mento di Ciancimino padre, a due passi da piazza di Spagna: «Non si pose mai il problema, in realtà – è la risposta -.

C’era uno pseudoaccordo,che riguardava Provenzano. Mio padre mi dis­se che il capomafia aveva la cer­tezza, grazie a questo accordo, di poter muoversi liberamente, in Italia e all’estero.

Aveva quasi una missione, un ruolo ben pre­ciso, dopo le stragi. Cosa che rientrava in un’attività di cui mio padre era stato parte inte­grante».

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Massimo Ciancimino, oggi

Immagine tratta da http://www.repubblica.it

Il processo Gotha riguarda i vertici mafiosi e i presunti con­tatti con la borghesia contigua a Cosa nostra. La seconda sezio­ne del Tribunale di Palermo, presieduta da Bruno Fasciana, ieri si è trasferita nel capoluogo lombardo per motivi di sicurez­za del dichiarante (sottoposto a minacce, anche di recente) e Massimo Ciancimino (difeso dall’avvocato Francesca Russo) parla quasi cinque ore.

Lui, con­dannato a cinque anni, e otto mesi per riciclaggio e fittizia in­testazione di beni per la spari­zione del «tesoro» del padre, par­la di complicità, trattative post-stragi fra pezzi delle Istitu­zioni e mafia, trame che vedreb­bero al centro di tutto don Vito e il suo amico «Binu»: «”Per fortu­na che c’è Provenzano”, mi dis­se una volta mio padre.

Lui ave­va la quasi-certezza che la presa del timone di Cosa nostra da parte del boss fosse stata la cosa migliore».


Nel’92 papà si adoperò per uscire dalla stagione delle stragi

Scontro fra boss per punire l’amante della moglie di Mercadante


Oggetto principale della testi­monianza doveva essere la posi­zione di uno dei nove imputati del processo, il primario radiolo­go Giovanni Mercadante, ex de­putato regionale di Forza Italia.

La questione ruota attorno a una vicenda personale, definita «una ragazzata» (una presunta relazione extraconiugale della moglie del medico, nella prima metà degli anni ’80), divenuta quasi «affare di Stato» per i boss: perché l’uomo che sarebbe sta­to l’amante della donna, Enzo D’Amico, era nipote di Pino Li­pari, braccio destro finanziario del boss corleonese; e Mercadante era a sua volta nipote di Tommaso Cannella, boss di Prizzi, anch’egli molto vicino a Binu.

Proprio Provenzano e Ciancimino senior dovettero così mediare e la “pena di morte” chiesta da Cannella per D’Amico fu commutata in tre anni di esilio: «Dovette andarsene in Brasile, perché, come mi spiegò mio padre – chiedo scusa – si decise che doveva levarsi dalle p….

Poi ci fu una specie di indultino gli anni furono ridotti a uno e mezzo».

Ciancimino dice di avere appreso dello scontro tra i due boss direttamente dal pa­dre e di averlo riferito alla figlia di Mercadante, sua giovanissi­ma fidanzata: «Io avevo 21-22 anni, forse 23 – dice – e lei ne ave­va 9-l0 meno di me.

Il primario non vedeva di buon occhio que­sta relazione, sia per via del co­gnome che porto che della diffe­renza di età».

Proprio su questo aspetto, la difesa – in aula c’era l’avvocato Leo Mercurio, che as­siste Mercadante con l’avvoca­to GraziaVolo – ribatte sostenen­do la scarsa credibilità comples­siva delle dichiarazioni di Cian­cimino.

II teste-dichiarante, che si de­finisce «il figlio fuori regola», era sempre in contrasto col padre perché poco o per nulla inqua­drato.

Don Vito organizzava le trame in una Palermo insangui­nata e fosca, ma non tollerava i vizi del figlio più piccolo: «Fuma­vo, volevo il motorino…». E lui, Massimo, ancor oggi individua i posti sulla base delle sue abitu­dini, metabolizzate in anni e an­ni vissuti nella Palermo by night («Li, dove si fanno i cornetti di notte, ha presente?»), e attraver­so le comitive, usate anche per scambiare i messaggi mafiosi del padre con esponenti di Cosa nostra.

«Grazie a un’amicizia con l’inconsapevole Rossana Li­pari, figlia di Pino, facevo avere i messaggi di mio padre per Pro­venzano e ne ricevevo le rispo­ste. L’altra figlia di Lipari, Cinzia, aveva lo studio di avvocato nel mio stesso palazzo e mio pa­dre, dall’interno, ci poteva anda­re a incontrare lo stesso Lipari e Provenzano…

Sempre in via Sciuti, nel portone successivo al nostro, abitavano i D’Amico.

Il fratello di Enzo, Beppe, aveva un’emittente tv, Cts.

A casa loro ho visto Lipari e Cannella…»

Rapporti torbidi, accordi sot­tobanco che non risparmiava­no gli ambienti meno sospetta­bili di collusioni:

«Il medico Ni­no Cinà era uno degli interlocu­tori più attendibili e seri, nel contesto Lipari-Provenza­no-Cosa nostra.

Il rapporto con lui nacque quando Luciano Lig­gio e soprattutto Totò Riina cer­carono di ottenere un interven­to su una sentenza definitiva per lo stesso Riina.

Ci furono co­sì contatti con un magistrato o con una persona di grande espe­rienza giuridica, cui far guarda­re la documentazione». Il nome non viene fatto.

L’impressione è che si sia all’inizio di una ri­scrittura della storia di Palermo.

Riccardo Arena

Ciancimino jr: “Binu” latitante andava a casa di mio padreultima modifica: 2009-05-03T14:28:00+02:00da aldo251246
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