Giudice della fallimentare sospesa, ipotesi di reato di tentata concussione e abuso d’ufficio

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Tribunale, indagata neopresidente
 
Tentata concussione e abuso d’ufficio nelle nomine dei consulenti
 
19 giugno 2009
di Luigi Ferrarella

Il pm: sospendere la giudice della Fallimentare di Milano. Esposto dei colleghi

MILANO – Da oggi, allo scadere del mandato del presi­dente Bartolomeo Quatraro, la giudice civile Maria Rosaria Grossi sarebbe diventata la presidente pro tempore del tribunale Fallimentare di Mila­no, il più importante d’Italia nel settore, 9 giudici per le cui mani l’ultima relazione uffi­ciale testimonia che passa «un flusso finanziario globale di 1 miliardo di euro l’anno». Ma la Procura di Brescia, com­petente sui magistrati del di­stretto milanese, indaga la giudice per le ipotesi di reato di tentata concussione e abu­so d’ufficio nelle modalità di nomina di curatori fallimenta­ri e liquidatori nelle procedu­re concorsuali, e ne chiede al gip Lorenzo Benini la sospen­sione dal servizio.

La richiesta di questa «mi­sura interdittiva» fa così veni­re a galla la punta di una inda­gine nata da una segnalazione interna proprio alla Sezione Fallimentare di Milano, scos­sa nel 2003 dall’arresto di una delle più stimate consulenti, Carmen Gocini, appropriatasi di 35 milioni di euro senza che in quel caso nessuno dei giudici che firmavano i relati­vi mandati di pagamento si avvedesse di alcunché. Grande esperta di diritto fallimentare, autrice di molti libri in materia, da qualche mese inserita tra gli esperti della Commissione del Mini­stero per la riforma della ma­teria, Grossi si ritrovò alla ri­balta delle cronache come pre­tore nel 1990 quando, investi­ta della primissima fase della guerra tra la Fininvest di Sil­vio Berlusconi e la Cir di Carlo De Benedetti per il controllo della Mondadori, due suoi provvedimenti diedero del funzionamento del patto di sindacato sulle azioni Amef una lettura favorevole a Finin­vest- Formenton. Adesso i suoi guai arriva­no, almeno in parte, da vici­no. E’ infatti dalla Sezione Fal­limentare stessa che mesi fa è stata presentata al presidente dell’intero tribunale, Livia Po­modoro, una relazione che, in­vece di lasciar correre le voci come spesso avviene nei corri­doi, metteva per iscritto alcu­ne dettagliate confidenze fat­te da professionisti del setto­re: situazioni tutte attinenti al medesimo delicatissimo no­do — quello dei criteri e del contesto delle nomine dei consulenti da parte dei magi­strati — di recente al centro di tutt’altra indagine e dell’ar­resto (operato dai pm di Mila­no competenti sulle toghe pie­montesi) del procuratore di Pinerolo, Giuseppe Marabot­to.

Pomodoro ha inoltrato la relazione al procuratore di Mi­lano, Manlio Minale, che l’ha trasmessa alla competente Procura di Brescia, dove l’in­dagine dei carabinieri è ora coordinata dal pm Fabio Sala­mone, in passato già trovato­si a indagare su magistrati, co­me nel caso di Antonio Di Pie­tro a Milano (caso Gorri­ni- D’Adamo) e di Mario Con­te a Bergamo (caso Ros-Gan­zer). Al vaglio della Procura di Brescia sono anche i rapporti tra la giudice e un avvocato scomparso nella primavera dell’anno scorso; e per l’ipote­si di una intesa tra i due, fina­lizzata alla suddivisione dei compensi ottenuti dal profes­sionista grazie alle nomine operate dal giudice, milita il racconto fatto dalla sorella stessa dell’avvocato morto, che dalla giudice si sarebbe poi vista chiedere anche una sorta di regolazione dei futuri compensi riferibili alle cause non ancora concluse all’epoca della morte dell’avvocato. In mano alla Procura di Bre­scia, inoltre, ci sono assegni bancari con i quali la sorella del legale nel 2008 avrebbe «cambiato» alla giudice una consistente cifra in contanti che, a suo dire, il magistrato le aveva affidato in custodia con periodici versamenti ‘cash’ nel 2007. E nel raggio delle verifiche sono entrate anche le proprietà immobilia­ri della giudice e i progetti di costituire società per parteci­pare alle aste del tribunale. Grossi è stata convocata per il mese prossimo a Bre­scia dal gip, che per legge do­vrà interrogarla e raccogliere le sue controdeduzioni difen­sive prima di poter decidere se ordinarne o meno l’interdi­zione dal servizio, richiesta dal pm Salomone; mentre gli stessi fatti, ma valutati sulla base di tutt’altri parametri ri­spetto a quelli penali, daran­no luogo anche a un procedi­menti in sede disciplinare.

Luigi Ferrarella
19 giugno 2009

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